Per differenti aspetti l’Italia procede a due velocità. La questione meridionale è più viva che mai e l’ambito sanitario rappresenta una prova incontrovertibile di una spaccatura nazionale. Quando si tratta di casi clinici complessi, tendenzialmente si ricercano cure al Nord. È qui che si concentrano i grandi ospedali, ovvero quelli che attraggono il maggior numero di pazienti da altre Regioni.
Grandi ospedali al Nord
Le necessità di cure più complesse spingono moltissimi italiani a viaggiare oltre Regione per centinaia di km. Il tutto con spese accessorie non irrilevanti, al fine di poter accedere ad alcuni dei grandi ospedali di questo Paese.
La loro distribuzione è totalmente sproporzionata, il che si traduce in maxi poli pubblici e privati convenzionati principalmente nel Centro-Nord. È di questo che si parla quando si fa riferimento ai viaggi della speranza in ambito sanitario. Ogni anno sono centinaia di migliaia i pazienti che devono rinunciare all’idea di ricevere cure specialistiche delicate nei “pressi” di casa, il che vuol nei confini della propria Regione. Ci si sposta da Sud a Nord alla ricerca di trattamenti e interventi specialistici, considerando come spesso si provenga da realtà coperte da piccoli ospedali. Si fa riferimento a quelli con meno di 120 posti, che sono più di 150 in tutto il Paese, e fino a 400 posti letto, che sono circa 200.
Ancora una volta si parla dunque di Italia spaccata. Non c’è altra definizione che regga dinanzi alla mappa realizzata dai tecnici del ministero della Salute, sulla base dei dati delle Sdo (schede di dimissioni ospedaliere).
Maxi ospedali in Italia, top 20
Parlare di top 20 grandi ospedali in Italia sa tanto di classifica ma così non è. Non si tratta di un’analisi delle performance degli istituti ospedalieri, bensì di un rendiconto delle strutture che vantano il maggior numero di dimissioni. Il risultato finale è frutto di un mix di due indicatori: complessità dei casi trattati e mobilità dei pazienti che giungono da altre Regioni.
Domina la Lombardia, che si pone come polo ospedaliero. Sono 5 le strutture che rientrano nei confini regionali. Di questi, tre sono concentrati nell’area di Milano: Galeazzi, Humanitas e Irccs San Raffaele. Convince anche la Toscana, con azienda ospedaliere pisana e quella senese nell’elenco, al fianco del Careggi di Firenze. Stesso numero per il Veneto: azienda ospedaliera universitaria di Verona, quella di Padova e l’ospedale Sacro cuore Don Calabria di Negrar. Si conclude il conto dei grandi concentramenti con Roma, tra Gemelli, Campus Biomedico e San Camillo Forlanini. Si segnalano poi il Mauriziano di Torino, il San Martino di Genova, il Sant’Orsola di Bologna e gli ospedali riuniti di Ancona.
Conti alla mano, mancano due posizioni all’appello, che sono le uniche occupate da maxi strutture ospedaliere del Sud: Casa sollievo della sofferenza di San Giovanni Rotondo in Puglia e l’azienda ospedaliera Monaldi di Napoli. Dunque 10 al Nord, 8 al Centro e 2 al Sud.
Si sta tornando a numeri pre Covid, stando al report del ministero della Salute sulle dimissioni ospedaliere. In linea generale si segnala una ripresa delle attività di ricovero ma, restando sul fronte della mobilità, l’8,3% dei ricoveri è rappresentato da soggetti che lasciano la propria Regione per ottenere cure migliori. Quota scesa comprensibilmente nel 2020 al 7,2%, tenendo conto delle limitazioni in atto. Lieve ripresa nel 2021 (7,8%). Numericamente parlando si tratta di 441mila ricoveri fuori Regione. L’effetto di una crisi meridionale mai sanata.