Dmitry Medvedev è un celebre politico russo e braccio destro di Putin. Ha ricoperto numerosi ruoli di vertice nel corso degli anni. È stato infatti Presidente della Federazione Russa dal 2008 al 2012, è dal 2020 vicepresidente del Consiglio di sicurezza. L’evoluzione di questo personaggio cardine è molto importante per comprendere la tendenza della politica russa negli ultimi anni.
Le minacce di Dmitry Medvedev
Quando si parla di Dmitry Medvedev si fa riferimento al collaboratore più stretto di Putin, è bene chiarirlo per avere un’idea precisa del suo potere all’interno del governo russo. Nel corso degli anni si è assistito a un’evoluzione che ha dell’incredibile, principalmente in merito al rapporto con l’Occidente.
Basti pensare ad alcune dichiarazioni a dir poco allarmanti, con chiare minacce nucleari. Come dimenticare: “Se l’Ucraina tenterà di attaccare la Crimea, la Russia impiegherà qualsiasi arma, compresa quella nucleare”.
In altre occasioni ha definito lo Stato ucraino parte della Russia, per poi definire le Ong occidentali dei veri e propri strumenti di “guerra ibrida”. Tutto ciò appare estremamente distante dalla figura giunta alla presidenza della Federazione russa nel 2008, sospinta proprio da Putin. Nel 2009 ha infatti tenuto un discorso dinanzi all’Assemblea Federale, evidenziando il proprio progetto per la Russia del domani. Al tempo nulla avrebbe lasciato intendere una trasformazione così radicale.
Un discorso illuminato
I punti cardine del discorso tenuto da Dmitry Medvedev sono svariati. Per iniziare spiegò in maniera chiara come in nessun modo la Russia avesse la possibilità di ignorare i propri problemi enormi e semplicemente dire che tutto andasse bene.
Il problema di fondo, stando alla sua visione d’allora, riguardava proprio la leadership. Riteneva fosse giunto il momento di dire addio alla figura singola, posta al potere, chiamata a decidere per tutti: “Diventeremo una società di persone intelligenti e libere”.
Per quanto riguarda invece la politica estera, che oggi è chiaramente volta a un’aggressività di parola e d’azione, professava un approccio pragmatico, evitando di lasciarsi andare a un atteggiamento dettato dalla nostalgia e dal pregiudizio.
La Russia che sognava era ben diversa da quella di Putin, che oggi si ritrova ad appoggiare fortemente. Spiegava come la vera forza del Paese risiedeva nel dare la chance alle persone di sviluppare le proprie idee: “Lo Stato deve incoraggiare le persone di talento, capaci di pensiero critico e i giovani con spirito di libertà intellettuale”.
Di tutto ciò non c’è assolutamente traccia nel Paese che scorgiamo oggi. Poco più di dieci anni fa, dunque, Dmitry Medvedev si interrogava sull’immagine della Russia ricevuta all’estero. Spesso fortemente criticata la politica estera del Paese, che lui avrebbe voluto trasformare: “Questa deve basarsi su una sola domanda: contribuisce a migliorar gli standard di vita del nostro Paese?”.
E per concludere, un aperto riferimento alla Nato, oggi tornata a essere il nemico numero uno. Spiegava come fosse falso il concetto secondo il quale il governo russo fosse contro la Nato: “Noi non basiamo la nostra politica estera contro qualcuno”.
Abbiamo dunque assistito a una vera e propria trasformazione concettuale. Si pensava si dovesse guardare “dentro casa”, sistemando quanto non andasse, così da far sviluppare la società russa. Dall’inizio della guerra in Ucraina, però, Medvedev ha completamente cambiato registro. Ha nel corso dei mesi parlato di infezione da sterminare, in riferimento alla resistenza ucraina, per poi definire “possibile da immaginare” un missile lanciato contro la Corte di Giustizia internazionale dell’Aia. Tutto ciò porta a galla una sola domanda: come sarebbe la Russia senza Putin alla sua guida?