Il disegno di legge sul femminicidio è stato approvato all’unanimità al Senato. Ora il testo si sposta alla Camera per l’approvazione definitiva, ma i 161 voti favorevoli lasciano sperare in un lavoro pulito. Il presidente del Senato, Ignazio La Russa, si è detto estremamente lieto del risultato, che testimonia come sui temi importanti il Senato sappia esprimersi senza distinzioni di appartenenza.
Il disegno di legge sul femminicidio introduce l’articolo 577-bis del codice penale e disciplina il reato di femminicidio, punendo con l’ergastolo chiunque provochi la morte di una “donna in quanto donna”. Nel testo sono presenti anche obblighi di formazione per la lotta alla violenza sulle donne e benefici penitenziari nei confronti dei condannati per femminicidio. Ma non sono state stanziate risorse per raggiungere obiettivi di prevenzione ed educazione. Quindi il femminicidio sarà punito con l’ergastolo, ma senza prevenzione le donne continueranno a morire.
Indice
Reato di femminicidio: è quasi legge
Compie un altro passo il disegno di legge per il reato di femminicidio con l’approvazione in Senato. Il voto è avvenuto in forma elettronica e ha ottenuto 161 esiti favorevoli, registrando così il risultato unanime che dimostra una compattezza sul tema della lotta contro la violenza sulle donne.
Il testo del nuovo articolo 577-bis non introduce soltanto il reato di femminicidio, ma prevede una serie di interventi normativi per il contrasto alla violenza nei confronti delle donne e per la tutela delle vittime.
Cosa dice l’articolo?
Chiunque cagiona la morte di una donna quando il fatto è commesso come atto di odio o di discriminazione, o di prevaricazione, o come atto di controllo, possesso o dominio in quanto donna, o in relazione al rifiuto della donna di instaurare o mantenere un rapporto affettivo, o come atto di limitazione delle sue libertà individuali, è punito con la pena dell’ergastolo.
Questo vuol dire che al di fuori dei casi citati si applica l’articolo 575, con le circostanze aggravanti presenti negli articoli 576 e 577. L’articolo 577-bis riconosce il movente di discriminazione di genere come causa dell’omicidio, ma la proposta di legge prevede anche altro.
Non solo reato, le misure contro la violenza
Il decreto legge sul femminicidio non prevede soltanto l’ergastolo senza attenuanti per chi viene riconosciuto colpevole di femminicidio, ma inserisce anche una serie di specifiche misure per la lotta contro la violenza sulle donne.
Facciamo una panoramica di cosa cambierà sul piano sostanziale e processuale:
- famiglie e vittime saranno informate tempestivamente in caso di sviluppi processuali, come la liberazione dell’indagato e la sua scarcerazione;
- saranno estese le distanze minime imposte agli imputati nei casi di provvedimenti di allontanamento e divieto di avvicinamento;
- i centri antiviolenza e le case di rifugio potranno costituirsi come parti civili nei processi;
- le misure cautelari saranno rafforzate anche attraverso la facilità di comminare la custodia in carcere, laddove la sicurezza della persona offesa lo richieda.
C’è poi il capitolo della formazione e prevenzione, che però appare piuttosto scarno. Sono infatti previste campagne di sensibilizzazione a partire dalle scuole secondarie di primo e secondo grado sui temi dell’aggressione a sfondo sessuale, ma le scuole sono solo incoraggiate a svolgere iniziative formative, non obbligate.
Viene però richiesto al personale scolastico e agli operatori sociali di formarsi sui temi della violenza di genere domestica, sui diritti umani, sui pregiudizi e sugli stereotipi di genere e su come prevenire la vittimizzazione secondaria. Il tutto con l’obiettivo di promuovere una cultura del rispetto, ma anche del riconoscimento delle disuguaglianze di genere e dell’inclusione.
Insomma, la nuova legge non si limita soltanto a punire, ma in prospettiva anche a educare. Il problema è che non sono stati stanziati i fondi affinché l’azione di prevenzione possa avvenire sperando in buoni risultati.
Dove sono le risorse per la prevenzione?
Bene il reato di femminicidio, ma dove sono le risorse per la prevenzione? Sono diversi gli interventi al Senato che richiamano alla necessità di prevenire attraverso educazione e formazione. Non basta soltanto punire, serve educare. A partire dalla scuola, con l’introduzione della materia Educazione alla sessualità e all’affettività, fortemente ostacolata dal governo Meloni, e servono risorse per i centri antiviolenza e per la formazione di personale nelle scuole e nei tribunali.
L’approvazione in Senato è un passo avanti, ma c’è ancora molto da fare. Sulle criticità della legge, ne espone al meglio i limiti la senatrice Ilaria Cucchi, che fa notare cosa manca.
Per esempio non è stata estesa la formulazione del reato, includendo tutte le donne e tutte le soggettività che della violenza di genere sono vittime ogni giorno. Secondo la senatrice c’è una volontà di non riconoscere le soggettività non conformi, che sono però altrettanto vittime di violenza di genere o di identità di genere. Questo perché “non si vuole scatenare l’ala più conservatrice del Paese”.
Ma la legge si presenta senza risorse, cioè non stanzia fondi per la prevenzione, la formazione, l’educazione e il rafforzamento dei presidi territoriali. Di fatto, prosegue Cucchi, “è una legge monca che affronta un fenomeno strutturale, come sempre, esclusivamente con lo strumento penale”.
Lotta alla violenza di genere: cosa serve davvero
Della stessa opinione è il senatore Ivan Scalfarotto, secondo il quale inserire nuovi reati, puniti persino con l’ergastolo, è una negazione del principio costituzionale. Infatti “se diciamo sul serio che la pena serve la rieducazione, è evidente che un fine pena mai è di per sé una negazione di quel principio”. Si dice però favorevole al 575-bis perché così si inizia a scrivere nel diritto penale e nella coscienza del Paese che le donne esistono e che sono uguali agli uomini in dignità e valore.
“Credo che il femminicidio sia semplicemente l’estrema dimostrazione della disuguaglianza che sta nella nostra società”, prosegue Scalfarotto. Cosa serve quindi per lottare contro la violenza di genere, così profondamente radicata nella nostra società?
La lista è lunga, ma alcune azioni sono più dirette e si possono attuare con l’impegno del governo, che – come nel caso del reato di femminicidio – si è già dimostrato capace di unirsi su alcuni temi. Se volessimo davvero lottare contro la violenza di genere servirebbero armi (per proseguire la metafora della lotta), ovvero risorse.
Servono investimenti in:
- educazione all’affettività;
- formazione del personale;
- percorsi di uscita dalla violenza;
- centri antiviolenza (primo presidio di ascolto e prevenzione).
Insomma serve prima di tutto una risposta culturale, prima ancora di quella penale. Come scrive anche Carlo Calenda:
Allo stesso tempo, come fa notare Ilaria Cucchi, l’introduzione del reato di femminicidio è accompagnata anche da un meccanismo di monitoraggio dell’applicazione della norma stessa nei tribunali. E questo è necessario, perché anche in altri Paesi dove esiste il reato di femminicidio alcuni casi palesemente circoscrivibili come “femminicidi” sono stati processati come omicidi comuni. A fare la differenza sono stati gli stereotipi e i pregiudizi della corte, degli avvocati e delle forze dell’ordine che hanno indagato sul caso. Per questo serve educare i professionisti e le professioniste che, dalla scuola al tribunale, agiscono sui casi di violenza di genere.