È tempo di campagna elettorale e come di consueto si torna a parlare di pensioni, uno dei temi caldi che dovrà affrontare il Governo del futuro per evitare il ritorno della legge Fornero nel 2023. Negli ultimi anni sono state infatti prese delle misure temporanee, come Quota 100, scaduta nel 2021, e Quota 102, in scadenza a fine anno, che hanno solo derogato il sistema che prevede i 67 anni di età e 20 di contributi per la pensione di vecchiaia o i 42 anni e 10 mesi di contributi a prescindere dall’età per quella anticipata, con un anno in meno per le lavoratrici.
La Fondazione Di Vittorio della Cgil, in un recente studio, stima che tra 20 anni ci saranno 6,8 milioni di italiani in meno in età da lavoro e ben 3,8 milioni di pensionati in più. Il sistema attuale non reggerà per molto, ed è ora compito della politica pensare a soluzioni a lungo termine per salvaguardare il futuro delle prossime generazioni. La riforma promessa da Mario Draghi non è arrivata in tempo, e ora l’ardua missione spetterà ai nuovi eletti. Ecco quali sono le proposte delle varie coalizioni e dei singoli partiti.
Quota 41 e pensioni minimi a 1.000 euro: le proposte di Meloni, Berlusconi e Salvini
La coalizione di centrodestra formata da Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia propone due diverse misure. Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi hanno promesso di alzare le pensioni minime a 1.000 euro al mese per 13 mensilità. La misura dovrebbe interessare i 6 milioni di italiani che vivono sotto questa soglia. Matteo Salvini, da sempre critico nei confronti della legge Fornero, continua invece a puntare su Quota 41, cioè sul pensionamento anticipato per chi ha almeno 41 anni di contributi.
La proposta del Carroccio dovrebbe costare, secondo l’Inps, circa 7,5 miliardi di euro all’anno – ma si tratta dell’analisi effettuata nel 2021, che potrebbe essere rivista al rialzo in base alla difficile situazione economica e demografica dell’ultimo periodo – mentre l’aumento delle pensioni minime circa 8,5 miliardi. In totale la riforma pensionistica del centrodestra potrebbe valere tra i 28 e i 40 miliardi di euro all’anno. Fondi difficilmente reperibili senza un aumento della pressione fiscale e l’introduzione di importanti novità nel mondo del lavoro.
La posizione del Pd sulle pensioni: si punta su garanzie, Ape sociale e Opzione tutti
Andrea Orlando, ministro del Lavoro e delle Politiche sociali uscente, eletto in quota Pd, ha promesso prima della caduta del Governo un rinnovo di due importanti misure per le pensioni anticipate, ovvero l’Ape sociale e Opzione donna. La strategia dei dem sarebbe quella di rivedere i calcoli per tutelare i lavoratori e le lavoratrici in difficoltà o impiegati in mestieri gravosi. Attualmente l’Ape sociale permette il pensionamento al compimento dei 63 anni di età per i lavoratori in difficoltà, mentre Opzione donna con 58 anni di età (59 nel caso delle lavoratrici autonome) e 35 anni di contributi.
Difficile immaginare che possano essere confermate con queste formule, considerando che soprattutto Opzione donna non è particolarmente conveniente, e rischia di far perdere fino al 30% dell’importo dell’assegno ottenuto con la pensione di anzianità. Tra le proposte c’è anche quella di istituire una Opzione tutti, sulla falsariga della misura destinata alle lavoratrici.
C’è poi al centrosinistra particolare attenzione ai giovani, con la proposta di una pensione di garanzia per chi ha iniziato a lavorare dopo il 1996 con un sistema totalmente contributivo, e che rischia di vedere il primo assegno dopo i 70 anni. Lo Stato, per il Partito Democratico, dovrebbe dunque pensare principalmente a chi è entrato nel mondo del lavoro in un periodo caratterizzato dall’instabilità, andando a coprire le lacune dovute alla precarietà. I periodo di inattività influiscono infatti negativamente sull’importo dell’assegno, e i lavoratori più giovani potrebbero ricevere pensioni di poche centinaia d’euro.
La misura, per come era stata pensata durante il governo Draghi, avrebbe dovuto garantire a tutti i pensionati un importo dai 650 euro ai 1.000 euro per integrare le pensioni più basse con l’erogazione di assegni sociali. Difficile stimare il suo impatto sui bilanci dello Stato, anche perché il presidente del Consiglio uscente prevedeva una riforma a tutto tondo, senza cui sarà difficile trovare i fondi per mettere in campo la pensione di garanzia.
Movimento 5 Stelle e Luigi Di Maio allineati sulle proposte di Pasquale Tridico
Il Movimento 5 Stelle, storicamente vicino alle idee della Lega sul dopo Fornero, in particolare per quanto riguarda Quota 100 e Quota 41, ha appoggiato negli ultimi mesi le proposte avanzate da Pasquale Tridico, presidente dell’Inps, sulle pensioni.
- Proposta del calcolo contributivo, che prevede l’uscita dal mercato del lavoro con 64 anni d’età e almeno 35 di contributi, a condizione di aver maturato un trattamento pari a 2,2 volte l’assegno sociale. Avrebbe un costo di circa 900 milioni di euro il primo anno e 3,8 miliardi di euro nel 2029.
- Proposta dell’uscita anticipata, con 64 anni d’età e 35 di contributi, ma con una penalizzazione del 3% della pensione retributiva per ogni anno di anticipo rispetto alla soglia di vecchiaia. Avrebbe un costo di circa 1 miliardo di euro il primo anno e di 5 miliardi di euro nel 2029.
- Proposta Tridico, con l’anticipo della sola quota contributiva della pensione a 63 anni di età e 20 anni di contributi, con recupero della fetta retributiva al raggiungimento dei requisiti di vecchiaia. In quel caso l’impatto sui bilanci pubblici sarebbe di 500 milioni di euro il primo anno e di 2,5 miliardi nel 2029.
Giuseppe Conte sarebbe favorevole anche alla linea del Pd, con il rinnovo dell’Ape sociale e di Opzione donna, oltre che con l’introduzione di una pensione di garanzia per i giovani. Tra le misure pentastellate, ci sarebbe anche il riscatto gratuito degli anni di laurea. La linea sarebbe la stessa di Insieme per il futuro, il nuovo partito di Luigi Di Maio, che si presenterà alle elezioni come Impegno Civico, in coalizione con Centro Democratico di Bruno Tabacci.
Carlo Calenda e Matteo Renzi contro Quota 100: le proposte dei due centristi
Mentre scriviamo, Carlo Calenda e Matteo Renzi non hanno ancora ufficializzato le rispettive alleanze elettorali. Alleati naturali per posizionamento, i leader di Azione e Italia Viva sono distanti su alcuni nodi cruciali. Il primo, tra l’altro, ha accolto tra le sue fila le ex ministre forziste Maria Stella Gelmini e Mara Carfagna, e con loro altri ex berlusconiani, siglando con +Europa il Patto Repubblicano che mira a portare avanti la cosiddetta Agenda Draghi.
Tuttavia le posizioni dei due partiti sulle pensioni e la riforma previdenziale sono molto simili. Per entrambi i centristi sarà inevitabile il ritorno della legge Fornero, magari in una forma “alleggerita” con maggiore flessibilità per le categorie di lavoratori a rischio. Potrebbero rivedere l’Ape sociale, allargandone la platea. Ma su Quota 100 tanto Carlo Calenda quanto Matteo Renzi hanno espresso, a più riprese, la propria contrarietà.
Quale sarà il futuro delle pensioni in Italia? Perché è arduo fare una previsione oggi
Insomma, difficile prevedere oggi quale sarà la strategia del prossimo Governo, considerando anche che i programmi dei singoli partiti rischiano di non essere portati avanti da un’eventuale maggioranza che, va da sé, dovrà trovare una mediazione per portare delle vittorie a casa e, cosa non meno importante, i fondi per cambiare un sistema ormai al collasso. Col rischio di scontentare tutti.
All’indomani del 25 settembre sapremo chi vincerà le elezioni anticipate e chi con tutta probabilità formerà l’esecutivo. E a quel punto il o la presidente del Consiglio dovranno dare risposte a milioni di italiani che chiedono pensioni adeguate al costo della vita e di lasciare il lavoro a un’età ragionevole.
Ciò che è certo è che a fine 2022 scadrà Quota 102 e tornerà la legge Fornero, con tutta probabilità se non si troverà un’altra soluzione.