Pensioni sempre più magre, come farsi una rendita integrativa

Il calo del Pil può rendere gli assegni Inps meno generosi del previsto. Qualche avvertenza utile per correre ai ripari e scegliere polizze e fondi previdenziali

Pubblicato: 10 Febbraio 2021 14:03

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Redazione

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Un calo dell’8,9% in 12 mesi. È l’andamento del prodotto interno lordo (pil) italiano nel 2020, nell’anno della tragica pandemia del Covid-19. La flessione, certificata pochi giorni fa dai dati preliminari dell’Istat, è superiore di due punti alla media europea (-6,8%). Forse molti italiani non lo sanno ma, oltre ad avere evidenti effetti di breve termine, il crollo del pil lascerà il segno anche nel medio e lungo periodo, quando molti nostri connazionali si ritireranno dal lavoro. Una flessione del pil, infatti, significa che nei decenni a venire ci saranno anche pensioni un po’ più magre del previsto.

Già, perché gli assegni previdenziali pubblici, quelli erogati dall’Inps, vengono calcolati da diversi anni con il cosiddetto metodo contributivo, cioè in proporzione alla quantità di contributi versati da ogni lavoratore nel corso di tutta la carriera (e non più, come un tempo, in base alla media degli ultimi redditi dichiarati prima di mettersi a riposo, con il cosiddetto sistema retributivo). Più si versa all’Inps durante la vita lavorativa, più alta sarà la pensione in vecchiaia. Alla base di questo sistema di calcolo, però, c’è un particolare tutt’altro che trascurabile: ogni anno, i contributi versati dal lavoratore (sulla cui base verrà poi calcolato l’assegno previdenziale dell’Inps) vengono rivalutati in proporzione all’andamento del pil nominale italiano del quinquennio precedente (cioè in base alla crescita economica reale del nostro Paese negli ultimi 5 anni, più l’inflazione).

Pensioni, cosa accade se il Pil cala

Cosa succede però se il prodotto interno lordo, invece di crescere, subisce un pesante calo come avvenuto nel 2020? Fortunatamente, la legge stabilisce che la quantità di contributi versati (il cosiddetto montante contributivo) rimane comunque invariata, senza svalutarsi. A parte questo dettaglio, però, una cosa è certa: se l’economia oggi è in recessione e il pil cala o è stagnante, le pensioni di domani saranno meno generose perché i contributi si rivalutano nel tempo. Ecco allora che molti nostri connazionali, volenti o nolenti, avranno la necessità di crearsi una rendita personale privata, in vista dei decenni a venire, per non essere costretti a tirare pesantemente la cinghia durante la terza età. Come riuscirci? Più di 8 milioni di italiani hanno scelto di farlo aderendo ai fondi o alle polizze della previdenza integrativa (o complementare), cioè a una particolare categoria di prodotti finanziari che hanno appunto il gravoso compito di costruire per i lavoratori un pensione di scorta, integrativa dei sempre più magri assegni erogati dall’Inps o dagli altri enti previdenziali di categoria.

Il loro funzionamento assomiglia a quello dei più diffusi fondi comuni di investimento e si basa su un piano di risparmio di lungo periodo, che può durare anche per 30 o 40 anni. In pratica, il lavoratore che aderisce alla previdenza integrativa versa periodicamente (in genere ogni mese oppure ogni trimestre) una parte dei propri redditi nel fondo o nella polizza pensionistica prescelta. I soldi accantonati vengono investiti sui mercati finanziari fino a che il lavoratore non raggiunge l’età pensionabile prevista dalla legge. Una volta giunta la data del pensionamento, il capitale accumulato nei fondi e nelle polizze previdenziali, più i rendimenti maturati, vengono convertiti in una pensione di scorta, che accompagnerà il titolare vita natural durante, proprio come gli assegni pubblici pagati dall’Inps. In alternativa, lo stesso lavoratore può scegliere di farsi liquidare subito il 50% del capitale maturato e convertire in una rendita integrativa soltanto la restante metà. Durante la fase di accumulo, chi aderisce alla previdenza complementare ottiene un beneficio fiscale, perché può dedurre dall’Irpef (cioè dalle imposte personali sui redditi) i soldi accantonati nei fondi e nelle polizze pensionistiche, fino a un massimo di circa 5.164 euro all’anno.

Fondi pensione, quando è possibile riscattarli in anticipo

Non va dimenticato che i soldi versati nella previdenza integrativa non sono facilmente liquidabili da un giorno all’altro ma restano blindati per molti anni, cioè fino al raggiungimento dell’età pensionabile. Riscattarli prima di norma non è possibile, se non per ragioni straordinarie o con limiti stringenti, per esempio quando un lavoratore resta disoccupato per più di 12 mesi, oppure, a otto anni dall’iscrizione ai fondi, ha bisogno di soldi per comprar casa. La liquidazione del capitale è possibile anche quando il lavoratore resta invalido o si trova in gravi condizioni di salute e deve affrontare delle spese sanitarie. Infine, dopo 8 anni dall’inizio del piano di accumulo nei fondi e nelle polizze, il capitale maturato può essere riscattato per qualsiasi ragione, ma soltanto nei limiti del 30% della somma maturata.

Fondi pensione, come vengono tassati

La previdenza integrativa, insomma, non è fatta per coprire le esigenze di breve periodo. Anche perché, è bene ricordarlo, chi riscatta il capitale prima del pensionamento spesso viene penalizzato dal punto di vista fiscale e subisce un’imposizione del 23% su quanto versato, perdendo i benefici delle precedenti deduzioni irpef. Chi invece porta fino alla pensione il proprio piano di risparmio, avrà una tassazione agevolata sulla rendita integrativa maturata. In questo caso, infatti, il prelievo varia tra il 9 e il 15%, a seconda del numero di anni in cui sono durati i versamenti. Più lungo è il piano di accumulo, dunque, minore è la tassazione. Non va dimenticato inoltre che, pur essendo blindato, il capitale maturato con i fondi pensione resta comunque ( e ovviamente) di proprietà del lavoratore e spetta di diritto ai suoi eredi, nella malaugurata ipotesi che il titolare muoia prima di aver raggiunto la tanto agognata soglia del pensionamento. Una volta compreso il meccanismo di funzionamento dei fondi o delle polizze pensionistiche, il passaggio successivo consiste nello scegliere il prodotto previdenziale più indicato per soddisfare le proprie esigenze. A questo proposito, va ricordato che esistono tre categorie di strumenti: i fondi pensione chiusi (o negoziali), i fondi pensione aperti e i piani individuali pensionistici (pip).

I fondi chiusi o negoziali: cosa sono e come funzionano

I fondi pensione negoziali sono creati in base ad accordi tra i sindacati e le associazioni imprenditoriali e sono riservati esclusivamente a singole categorie di lavoratori dipendenti: per esempio ai lavoratori del settore chimico o gli impiegati pubblici. I metalmeccanici, per esempio, hanno un loro fondo di categoria che si chiama Cometa al quale possono aderire soltanto gli addetti dello stesso settore. Chi sceglie i fondi negoziali può destinarvi il proprio Tfr (trattamento di fine rapporto), cioè la quota di stipendio tradizionalmente accantonata per la liquidazione (quasi il 7% del salario, corrispondente a circa una mensilità all’anno). Chi sceglie di destinare ai fondi pensione il Tfr può aggiungere un contributo di tasca propria (pari a circa l’1% del salario) e beneficia anche di una contribuzione aggiuntiva dell’1% circa, pagata dal datore di lavoro, per un totale di quasi il 9% del salario.

I fondi pensione aperti e i piani individuali pensionistici

La seconda categoria di prodotti della previdenza integrativa è rappresentata dai fondi pensione aperti che sono venduti per lo più in banca e creati dalle società di gestione del risparmio, o più raramente dalle compagnie assicurative. Tutti i lavoratori, dipendenti non, possono aderire ai fondi pensione aperti anche se sono soprattutto gli autonomi a farlo. Questa categoria di prodotti, a differenza dei fondi negoziali, non può beneficiare del contributo aggiuntivo dell’1% pagato dall’azienda, che che si aggiunge al Tfr. Infine, c’è una terza e ultima categoria di strumenti della previdenza integrativa rappresentata dai piani individuali pensionistici (Pip). Si tratta di vere e proprie polizze da investimento create dalle compagnie assicurative che, al pari di quanto avviene per i fondi, investono sui mercati finanziari e convertono il capitale maturato in una rendita integrativa alla data del pensionamento.

Previdenza integrativa, quanto può rendere

Oltre a dover scegliere il singolo prodotto pensionistico (in Italia ce ne sono centinaia) i lavoratori devono anche decidere per quale quale linea d’investimento optare. Non va infatti dimenticato che non si può stabilire a priori quale sarà il rendimento dei fondi pensione nel lungo periodo, a differenza di quanto avviene per il Tfr, che si rivaluta ogni anno di una quota dell‘1,5% fisso, più i tre quarti del tasso di inflazione. Per i fondi e le polizze tutto dipenderà dall’andamento dei mercati finanziari. Ogni prodotto previdenziale ha a sua volta diverse linee d’investimento, create per soddisfare le differenti propensioni al rischio del sottoscrittore. Ci sono per esempio le linee che investono i strumenti finanziari più volatili nei prezzi come le azioni e linee più stabili nei rendimenti che destinano il capitale ai titoli di stato e e alle obbligazioni. Ci sono poi prodotti “ibridi” con un portafoglio bilanciato, composto da un mix di azioni e obbligazioni. Di solito, quando il lavoratore è giovane e ha ancora davanti a sé diversi decenni di carriera prima della pensione, gli esperti previdenziali suggeriscono di optare per fondi con una consistente componente di azioni, che hanno rendimenti più oscillanti nel breve termine ma hanno buone chance di essere più redditizi nel lungo periodo. Man mano che si avvicina la soglia del pensionamento, invece, il consiglio è di mettere al sicuro il capitale spostandosi su linee di investimento via via sempre meno rischiose.

Infine, un ultimo fattore da prendere in considerazione prima di scegliere un prodotto della previdenza integrativa è rappresentato dal livello dei costi. Sul capitale versato dai lavoratori nei fondi e nelle polizze pensionistiche, infatti, le società di gestione del risparmio e le compagnie assicurative trattengono per sé ogni anno una quota in percentuale (sotto forma di commissioni di gestione e di altri oneri) che, alla lunga, incide sui rendimenti maturati e di conseguenza anche sull’importo della rendita integrativa percepita. Basti pensare che, a parità di rivalutazione del capitale, un fondo pensione che ha una commissione più alta dell’1% rispetto a un altro, genera una pensione di scorta inferiore di ben il 20%. Occhio dunque ai piccoli balzelli che potrebbero rivelarsi molto salati durante la terza età.

A cura di Andrea Telara, Giornalista economico finanziario

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