Secondo i conti economici trimestrali diffusi dall’Istat lo scorso 29 agosto, il prodotto interno lordo (Pil) è diminuito dello 0,1% rispetto al trimestre precedente, pur segnando un +0,4% rispetto allo stesso periodo del 2024. I numeri, apparentemente modesti, rivelano un quadro strutturale fatto di consumi stagnanti, agricoltura in flessione e famiglie sempre più caute nella spesa per cibo e bevande.
In un Paese che ha nel Made in Italy agroalimentare uno dei suoi punti di forza, il fatto che i consumi alimentari non abbiano dato alcun contributo alla crescita desta più di una preoccupazione.
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Perché i consumi delle famiglie sono fermi
Il dato più evidente e allarmante riguarda i consumi finali nazionali fermi. Le famiglie italiane non hanno aumentato la loro spesa, nonostante un contesto di lieve crescita dei redditi da lavoro dipendente (+0,9% pro capite). Quindi gli italiani guadagnano un po’ di più, ma non spendono di più. Soprattutto nel settore del food & beverage, dove il contributo dei consumi delle famiglie è stato nullo.
Questa dinamica può essere letta in almeno tre modi:
- dopo gli anni di inflazione alimentare record (2022 e 2023), molte famiglie hanno imparato a ridurre sprechi e razionalizzare gli acquisti e l’aumento del reddito disponibile viene destinato al risparmio o ad altre priorità;
- c’è una maggiore attenzione verso prodotti a basso costo, offerte e promozioni, con un boom dei discount e delle private label (prodotti realizzati da un’azienda terza su commissione di un’altra impresa, che li vende poi con il proprio marchio), a discapito dei marchi tradizionali;
- bollette, affitti e servizi incidono ancora in modo significativo sul bilancio familiare, comprimendo lo spazio destinato al cibo di qualità.
Anche l’agricoltura risente del calo della domanda
Dal lato della produzione, il quadro non è più incoraggiante.
L’Istat segnala che il valore aggiunto di agricoltura, silvicoltura e pesca è diminuito dello 0,6% rispetto al trimestre precedente. Si tratta di un arretramento che conferma la fragilità di un settore sempre più esposto agli effetti del cambiamento climatico, ai costi elevati di produzione e a un mercato interno stagnante.
La contrazione agricola non è solo un fatto statistico ma riflette il peso crescente delle difficoltà operative delle imprese agricole, strette tra prezzi alla produzione in calo e margini ridotti e non aiutate dalla domanda interna statica.
Le famiglie italiane e il consumo minimo vitale
Dietro la stabilità dei consumi alimentari c’è anche un fenomeno sociologico: gli italiani sembrano essersi assestati su un livello di consumo minimo vitale nel comparto food.
Le indagini sul carrello della spesa mostrano infatti che crescono i volumi di beni a marchio del distributore, mentre arretrano i segmenti a più alto valore aggiunto, come i vini di fascia medio-alta, i prodotti Dop e Igp e le specialità regionali.
Non si rinuncia a mangiare, ma si riducono gli extra, si scelgono formati più economici e si rinvia l’acquisto di prodotti premium.
Le conseguenze e il rischio stagnazione
La combinazione di consumi fermi e agricoltura in calo si traduce in maggiore vulnerabilità delle imprese agricole (senza crescita della domanda interna, il settore dipende in modo quasi esclusivo dall’export) e pressione sui prezzi al consumo.
Ma non solo. C’è anche il rischio di desertificazione commerciale, con i piccoli produttori e negozi tradizionali superati dalle grandi catene.
Il secondo trimestre 2025 conferma un’Italia che non riesce a trasformare la crescita del reddito in maggior consumo alimentare e che vede l’agricoltura arretrare. Per questo l’economia agroalimentare nazionale rischia di restare intrappolata in una spirale di stagnazione, con effetti negativi a cascata su imprese, occupazione e territori.