Italia a rischio stagnazione, consumi fermi e agricoltura in crisi

L’Istat lancia l’allarme sui consumi alimentari in Italia: la spesa delle famiglie è ferma e il valore aggiunto dell’agricoltura è in flessione, un mix che rischia di compromettere il settore agroalimentare

Pubblicato:

Federica Petrucci

Editor esperta di economia e attualità

Laureata in Scienze Politiche presso l'Università di Palermo e Consulente del Lavoro abilitato.

Secondo i conti economici trimestrali diffusi dall’Istat lo scorso 29 agosto, il prodotto interno lordo (Pil) è diminuito dello 0,1% rispetto al trimestre precedente, pur segnando un +0,4% rispetto allo stesso periodo del 2024. I numeri, apparentemente modesti, rivelano un quadro strutturale fatto di consumi stagnanti, agricoltura in flessione e famiglie sempre più caute nella spesa per cibo e bevande.

In un Paese che ha nel Made in Italy agroalimentare uno dei suoi punti di forza, il fatto che i consumi alimentari non abbiano dato alcun contributo alla crescita desta più di una preoccupazione.

Perché i consumi delle famiglie sono fermi

Il dato più evidente e allarmante riguarda i consumi finali nazionali fermi. Le famiglie italiane non hanno aumentato la loro spesa, nonostante un contesto di lieve crescita dei redditi da lavoro dipendente (+0,9% pro capite). Quindi gli italiani guadagnano un po’ di più, ma non spendono di più. Soprattutto nel settore del food & beverage, dove il contributo dei consumi delle famiglie è stato nullo.

Questa dinamica può essere letta in almeno tre modi:

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Anche l’agricoltura risente del calo della domanda

Dal lato della produzione, il quadro non è più incoraggiante.

L’Istat segnala che il valore aggiunto di agricoltura, silvicoltura e pesca è diminuito dello 0,6% rispetto al trimestre precedente. Si tratta di un arretramento che conferma la fragilità di un settore sempre più esposto agli effetti del cambiamento climatico, ai costi elevati di produzione e a un mercato interno stagnante.

La contrazione agricola non è solo un fatto statistico ma riflette il peso crescente delle difficoltà operative delle imprese agricole, strette tra prezzi alla produzione in calo e margini ridotti e non aiutate dalla domanda interna statica.

Le famiglie italiane e il consumo minimo vitale

Dietro la stabilità dei consumi alimentari c’è anche un fenomeno sociologico: gli italiani sembrano essersi assestati su un livello di consumo minimo vitale nel comparto food.

Le indagini sul carrello della spesa mostrano infatti che crescono i volumi di beni a marchio del distributore, mentre arretrano i segmenti a più alto valore aggiunto, come i vini di fascia medio-alta, i prodotti Dop e Igp e le specialità regionali.

Non si rinuncia a mangiare, ma si riducono gli extra, si scelgono formati più economici e si rinvia l’acquisto di prodotti premium.

Le conseguenze e il rischio stagnazione

La combinazione di consumi fermi e agricoltura in calo si traduce in maggiore vulnerabilità delle imprese agricole (senza crescita della domanda interna, il settore dipende in modo quasi esclusivo dall’export) e pressione sui prezzi al consumo.

Ma non solo. C’è anche il rischio di desertificazione commerciale, con i piccoli produttori e negozi tradizionali superati dalle grandi catene.

Il secondo trimestre 2025 conferma un’Italia che non riesce a trasformare la crescita del reddito in maggior consumo alimentare e che vede l’agricoltura arretrare. Per questo l’economia agroalimentare nazionale rischia di restare intrappolata in una spirale di stagnazione, con effetti negativi a cascata su imprese, occupazione e territori.

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