WhatsApp sul lavoro, i messaggi hanno valore legale e si possono usare in tribunale

I messaggi WhatsApp sono utilizzabili come prova scritta e documentale di abusi e violazioni del contratto e della legge, da parte dell'azienda. Ma a specifiche condizioni

Pubblicato: 5 Marzo 2025 09:01

Claudio Garau

Editor esperto in materie giuridiche

Laureato in Giurisprudenza, con esperienza legale, ora redattore web per giornali online. Ha una passione per la scrittura e la tecnologia, con un focus particolare sull'informazione giuridica.

Chiunque conosce WhatsApp, la celeberrima app per smartphone lanciata nel 2009 e oggi utilizzata da miliardi di persone in tutto il mondo. Utilissima anche e soprattutto nel mondo dell’occupazione, per tenersi in contatto con colleghi e superiori (ad es. per stabilire uno scambio di turni), può essere sfruttata anche per far valere o proteggere i propri diritti di lavoratore?

Una domanda nient’affatto banale se pensiamo alle potenzialità che ha un’app come questa: crittografia end-to-end, capacità di funzionare anche con connessioni deboli e scalabilità sono alcuni dei suoi punti di forza, insieme alla sua “innata” attitudine a… essere utilizzata come prova in tribunale, contro abusi, illeciti e prevaricazioni del datore di lavoro.

Proprio così e, per chi non lo sapesse, è opportuno ricordare qual è la linea della giurisprudenza a riguardo, in primis quella della Cassazione. Perciò, come usare WhatsApp in una causa di lavoro? Con quali regole? Come servirsene per ottenere una sentenza favorevole e che inchiodi l’azienda alle proprie responsabilità?

Chat WhatsApp in tribunale, cosa dice la legge

Abbiamo appena accennato all’uso ormai classico che i dipendenti fanno di WhatsApp per messaggi informali legati all’attività di lavoro o anche ad attività extra-lavorative. Purtroppo, però, l’app si presta anche a strumento per pressioni indebite o per veri e propri atti persecutori ai danni dei lavoratori subordinati.

Pensiamo, ad esempio, a quelle situazioni in cui il capo invia messaggi contenenti offese, minacce o umiliazioni: tali comunicazioni potranno essere usate come prova di mobbing. Analogamente, anche messaggi contenenti ordini illegittimi o discriminatori o che alludano al mancato pagamento di stipendi o straordinari, potranno essere usati come prova in giudizio per ottenere il pagamento del dovuto.

In questi anni la Cassazione ha fugato ogni dubbio in merito alla qualificazione dei messaggi WhatApp come “riproduzioni meccaniche”, ai sensi dell’art. 1712 del Codice Civile:

Le riproduzioni fotografiche, informatiche o cinematografiche, le registrazioni fonografiche e, in genere, ogni altra rappresentazione meccanica di fatti e di cose formano piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime.

In sintesi, la legge stabilisce che:

Per fare un esempio pratico, se un dipendente ha su WhatsApp una conversazione che proverebbe un comportamento scorretto del datore, come modifiche unilaterali del contratto o addirittura insulti, potrà certamente farla valere in giudizio. Cioè sarà valida come prova a meno che il datore non dimostri dettagliatamente che il messaggio è stato manipolato, oppure che non proviene effettivamente dal suo numero di cellulare.

Il caso della contestazione del messaggio o della trascrizione

Se il datore di lavoro si oppone all’utilizzo dei messaggi WhatsApp, chi li ha prodotti dovrà provarne l’autenticità con altri strumenti, come perizie informatiche o testimonianze. In altre parole, i messaggi sullo smartphone sono sì riproduzioni informatiche ai sensi del citato art. 1712 del Codice Civile ma, in caso di contestazione da parte dell’azienda, il dipendente dovrà dimostrarne la corrispondenza al vero, anche esibendo direttamente il cellulare in giudizio o acquisendo una copia forense della chat.

In quest’ultimo caso si fa riferimento a un duplicato bit a bit della prova digitale, una sorta di clone integralmente corrispondente all’originale e utilizzabile in sede giudiziaria. Le contromosse, quindi, non mancano.

Nel differente caso dello screenshot dei messaggi, il valore probatorio c’è ma, come intuibile, può essere contestato più facilmente dal datore di lavoro, perché lo screenshot può essere alterato o manipolato con un software di editing. Al di là della possibilità che il giudice disponga una perizia forense, il dipendente interessato a rafforzare la validità dello screenshot potrà allegare la chat completa invece di un singolo messaggio isolato, oppure chiedere le testimonianze di chi ha ricevuto l’identica comunicazione.

Nella prassi i giudici accettano le chat WhatsApp come prova digitale e documentale, ma tendono a richiedere accertamenti tecnici per evitare rischi di manipolazione. E, come evidenziato dalla sentenza Cassazione n. 49016 del 2017, per avvalorare i messaggi WhatsApp come prove sarà preferibile che le relative trascrizioni siano sempre “supportate” dal supporto telematico originale, ossia il telefono contenente la comunicazione.

Il messaggio WhatsApp è una prova valida a due condizioni

Ricapitolando, in caso di opposizione del datore di lavoro, il dipendente, tramite il suo legale, dovrà essere in grado di dimostrare:

In pratica, se è vero che gli screenshot WhatsApp e le trascrizioni possono bastare ai fini della prova, è altrettanto vero che dovranno comunque essere acquisiti correttamente e senza tagli o manipolazioni. In ogni caso, se l’azienda contesta il messaggio, il lavoratore potrà chiedere una perizia tecnica per confermare l’autenticità della chat.

Alcune sentenze chiave della Cassazione in materia

Una costante giurisprudenza della Cassazione supporta l’utilizzo dei messaggi WhatsApp in giudizio. Con la sentenza n. 11197/2023, la sentenza n. 39539/2022 e l’ordinanza n. 1254/2025, la Suprema Corte ha riconosciuto che i messaggi WhatsApp, come gli sms ordinari, hanno, per legge, natura di documenti e possono rappresentare prova piena dei fatti e delle circostanze in essi rappresentati. La modalità di acquisizione dei messaggi, come lo screenshot, è legittima a patto che si possa dimostrare con certezza l’origine e l’integrità del documento digitale.

Concludendo, se è vero che la giurisprudenza ha più volte confermato l’uso delle chat in processi per mobbing, discriminazione e licenziamenti illeciti, al contempo ha ritenuto WhatsApp uno strumento idoneo a licenziare un dipendente, ma a specifiche condizioni. Quel che preme ribadire è che è possibile usare le chat del cellulare per difendere i propri diritti di lavoratore, contro gli abusi dell’azienda, a patto però di tener conto delle indicazioni di cui sopra. Attenzione però, un ragionamento a parte merita il licenziamento via Whatsapp.

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