La grave crisi provocata dall’aumento dell’inflazione e dal rialzo dei costi energetici, sopraggiunta subito dopo la pandemia, sta provocando un significativo rallentamento della crescita economica a livello globale. In generale mentre il costo della vita resta ad alti livelli, le retribuzioni registrano un ingente calo.
E tra i Paesi maggiormente coinvolti in quella che può essere definita una vera e propria piaga sociale c’è l’Italia. A fotografare il drammatico quadro della situazione è il recente rapporto dell’Organizzazione internazionale del lavoro (Oil) denominato ‘L’impatto dell’inflazione e del Covid-19 sui salari e sul potere d’acquisto’.
Il crollo dei salari in Italia
Secondo quanto emerge dallo studio, nella prima metà dell’anno i salari reali su scala mondiale sono diminuiti dello 0,9%. Nel corso dell’attuale secolo non era mai accaduto. Ma considerando le sole economie avanzate del G20, l’Italia è il Paese con la decrescita maggiore tra il 2008 e il 2022, insieme a Regno Unito e Giappone. Rispettivamente, in questo arco temporale lo stipendio è diminuito in media del 12%, del 4% e del 2%.
Uno scarto decisamente pesante, quello italiano. L’impennata inflazionistica, erodendo il valore dei salari, ha conseguentemente portato al drastico abbassamento del potere d’acquisto delle famiglie. E ad essere colpita è soprattutto la fascia di popolazione dal reddito medio-basso, che è diventata sempre più povera. Altresì è interessante considerare la classifica delle città più care a causa dell’inflazione.
Classe media più povera
Il rapporto elaborato dall’Oil evidenzia come la crisi legata a pandemia e inflazione abbia avuto l’impatto maggiore su lavoratori e lavoratrici con basse retribuzioni. La combinazione tra perdita di lavoro e riduzione di ore lavorate nei periodi più critici del Covid-19 (in un altro articolo abbiamo parlato delle nuove regole sull’isolamento) ha causato la crescita di quasi un punto percentuale della proporzione di cittadini a bassi salari, che è passata così dal 9,6% del 2019 al 10,5% del 2020.
L’incremento successivo del costo della vita, come evidenziato nella ricerca, si è aggiunto quindi alle ingenti perdite in busta paga. Se poi si guardano i dati, in Italia ad essere più intaccati dall’inflazione sono stati in prevalenza i beni e i servizi primari, il cui aumento dei costi non ha fatto altro che contribuire alla perdita del potere d’acquisto.
Al centro della tormenta ci sono soprattutto i giovani, ma la crescita maggiore delle basse retribuzioni si è registrata tra i lavoratori di età compresa tra i 35 e i 50 anni (+1,2%).
I potenziali rimedi
Sulla base dei dati raccolti, secondo l’Oil contrastare l’erosione del valore salariale non solo è un fattore essenziale per la crescita economica del Paese, ma anche per diminuire le probabilità di una eventuale recessione. L’analisi ha evidenziato quindi la necessità di adottare precise strategie integrate per salvaguardare il potere d’acquisto e il tenore di vita dei lavoratori.
“Considerando che nel 90% degli Stati membri dell’Oil sono in vigore sistemi di salari minimi – si legge nel rapporto – un loro adeguamento potrebbe rappresentare una misura efficace”. Ma viene fatto notare che per farlo occorre rafforzare il “dialogo sociale tripartito” e “la contrattazione collettiva”.
Altrove abbiamo parlato invece delle regole approvate dal Parlamento europeo sul salario minimo.
Altre politiche che potrebbero mitigare l’impatto della crisi sul costo della vita sulle famiglie includerebbero misure mirate a fasce specifiche della popolazione, “come l’erogazione di sussidi alle famiglie a basso reddito per supportarle nell’acquisto di beni di prima necessità, o la riduzione dell’imposta sul valore aggiunto”.