Recentemente la Cassazione è tornata ad affrontare un tema ricorrente e di importanza chiave per tutti i lavoratori. Fino a che punto l’azienda può imporre procedure organizzative, quando i dipendenti esercitano il diritto di sciopero? L’azienda può imporre limitazioni o vincoli sostanziali a quest’ultimo? Con una pronuncia depositata poche settimane fa, la Suprema Corte ha ribadito qual è il confine da non superare al fine di non ricadere nella cosiddetta condotta antisindacale e, quindi, nella violazione di uno dei diritti costituzionali riconosciuti al personale.
Vediamo più da vicino che cosa sapere e qual è insegnamento generale che dà l’ordinanza 29740/2025 dei giudici di piazza Cavour.
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Condotta antisindacale e diritto di sciopero violato
La vicenda pratica riguardava le disposizioni di servizio adottate dalla società datrice in occasione di scioperi di alcuni casellanti autostradali. Prevedevano numerosi adempimenti a mansioni contrattuali prima dell’astensione dal lavoro, della durata tra i 15 e i 60 minuti.
Al contempo, i dipendenti erano vincolati a precisi compiti – non retribuiti e accompagnati dalla minaccia di sanzioni disciplinari – anche dopo l’inizio dello sciopero.
Come si può leggere nella pronuncia della Cassazione che richiama i fatti di causa, per un’asserita compressione dell’esercizio del diritto all’astensione collettiva, la Cgil fece ricorso contro queste direttive al fine di tutelare i dipendenti.
Nel dettaglio, sulla scorta dell’art. 28 dello Statuto dei lavoratori, il sindacato contestava in tribunale due disposizioni di servizio intitolate
Procedure da adottare in occasione di agitazioni sindacali del personale di esazione.
Nei primi gradi di giudizio l’esito non fu favorevole alla società, perché la magistratura evidenziò la condotta antisindacale nei confronti del personale. La società, però, non si arrese e andò fino in fondo al procedimento, rivolgendosi alla Corte di Cassazione.
La magistratura di merito ritenne illegittime le procedure citate nelle direttive aziendali per due distinti motivi.
Quelle pre-sciopero costringevano il lavoratore a decidere in anticipo e i lavoratori, per poter aderire allo sciopero, avrebbero dovuto svolgere gli adempimenti preliminari prima dell’inizio dello stop al lavoro. Ciò, secondo i giudici, impediva al lavoratore di esercitare la propria scelta in modo istantaneo e senza vincoli, come invece costituzionalmente garantito.
Quelle post-sciopero non prevedevano alcun riconoscimento economico in busta paga. L’assenza di reddito era peraltro unita a minacce di provvedimenti disciplinari in caso di inosservanza della direttiva.
La bocciatura del ricorso della Corte di Cassazione
Non solo. La corte d’appello aveva anche respinto la difesa della società, che giustificava le procedure con la necessità di evitare la perdita degli incassi consegnati dagli esattori operanti al casello autostradale. In sostanza, non c’era alcun danno patrimoniale da arginare. Anzi, come si legge nella sentenza della Cassazione, questa perdita rientrava:
nell’ambito delle fisiologiche conseguenze negative che lo sciopero è destinato a produrre per sua intrinseca natura, e che la stessa tutela costituzionale del diritto avalla quale forma sindacale di pressione sulla volontà contrattuale della controparte.
Ecco perché nessuna restrizione alla libertà sindacale era giustificabile nelle modalità appena viste.
Con l’ordinanza depositata dopo la camera di consiglio del 10 settembre 2025, la Suprema Corte ha nuovamente bocciato la tesi del datore di lavoro.
Secondo i giudici, infatti, le procedure finite nel mirino delle contestazioni limitavano concretamente e sensibilmente una libertà dei lavoratori, quale quella di aderire allo sciopero, che deve essere garantita in modo pieno e senza condizioni o limitazioni.
Il ragionamento logico-giuridico adottato dai giudici di merito è stato quindi corretto ed è esente da errori giuridici.
Per questo motivo, la Cassazione ha respinto definitivamente il ricorso della società datrice, che impugnò la decisione di secondo grado per asserite violazioni di articoli di Costituzione e di legge da parte del giudice d’appello – tra cui una non consentita inversione dell’onere della prova.
Ma, appunto, la Suprema Corte ha confermato la condotta antisindacale accertata nei giudizi di merito su ricorso della Cgil, chiarendo che lo sciopero, in quanto tale, non poteva essere compresso da procedure aziendali.
I precedenti giurisprudenziali di riferimento per situazioni come questa
Nella pronuncia, i giudici di piazza Cavour hanno richiamato un principio consolidato: il datore può legalmente adottare misure per attenuare i danni materiali dello sciopero, ma esclusivamente a condizione che non incidano sull’esercizio del diritto dei lavoratori (Cass. 6787/2024).
È un’impostazione che si fonda sull’insegnamento della Corte costituzionale (sent. 125/1980), che distingue tra:
- danno alla produzione, legittimo perché connaturato allo sciopero;
- danno alla produttività, vietato perché compromette iniziativa economica e organizzazione dell’impresa nel suo complesso.
Nel caso dei dipendenti in oggetto, spiega la Suprema Corte, la società datrice non aveva provato che le procedure imposte fossero necessarie a evitare un danno grave alla produttività aziendale (come distruzione di impianti, pericoli per persone o attrezzature, compromissione permanente del servizio).
Anzi, le procedure richiedevano del lavoro prima dello sciopero, costringendo il lavoratore a scegliere anticipatamente se aderire. E, soprattutto, richiedevano ulteriore lavoro dopo l’inizio dello sciopero, quindi attività non retribuita, contraddicendo, anche con minacce, l’essenza stessa dell’astensione.
Che cosa cambia per il diritto allo sciopero dei lavoratori
La pronuncia 29740/2025 ha una portata generale perché riguarda l’incidenza illegittima delle procedure aziendali sul diritto costituzionale allo sciopero, che è protetto anche quando spontaneo.
Inoltre ribadisce con forza un orientamento giurisprudenziale chiaro e sintetizzabile in tre punti:
- il datore di lavoro può tutelare i propri interessi durante uno sciopero;
- il datore di lavoro non può comprimere il diritto dei dipendenti attraverso procedure che anticipano, condizionano o ostacolano l’adesione all’astensione;
- la perdita di incassi o produttività a breve termine rientra nelle conseguenze naturali e accettabili dello sciopero, è giustificabile e vieta comunque di adottare contromisure che ne snaturino l’efficacia.
Concludendo, per le imprese il messaggio è semplice: tutelare l’organizzazione e il patrimonio aziendali è consentito dalla legge, ma soltanto se non si sacrifica un diritto costituzionalmente protetto come lo sciopero.
Non è vietato trovare rimedi organizzativi per colmare le assenze dei lavoratori, ma pur sempre tenendo un occhio di riguardo ai diritti fondamentali dei lavoratori.