Promozione automatica con mansioni superiori, quando spetta il risarcimento

Con la sentenza n. 1674 di quest'anno, la corte d'appello di Bari ha spiegato perché svolgere mansioni superiori non comporta per forza il riconoscimento di una promozione da parte del datore

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Claudio Garau

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Il tema dell’assegnazione a mansioni superiori e del diritto alla cosiddetta promozione automatica continua a essere fonte di contrasti tra lavoratori e datori di lavoro e un recente caso, esaminato dalla Corte d’appello di Bari, lo conferma.

La sentenza n. 1674 di quest’anno, emessa dal giudice pugliese, è interessante perché chiarisce alcuni principi fondamentali in materia di mansioni, avanzamenti di carriera e demansionamento. Vediamo allora i punti chiave della decisione e capiamo qual è la sua portata generale per i rapporti di lavoro.

La vicenda del dipendente che rivendicava le mansioni superiori

Come accertato in aula, un dipendente presso un consorzio di bonifica, assunto a tempo indeterminato con la qualifica di camparo, aveva inizialmente svolto mansioni di manutenzione degli impianti; poi, a seguito di un trasferimento, era stato assegnato a lavori d’ufficio.

Trascorso un biennio, l’uomo aveva chiesto una promozione o un avanzamento di grado, che il datore di lavoro aveva respinto.

Dopo vari spostamenti di sede, l’uomo lamentò di essere stato confinato in una stanza, in una condizione di isolamento dall’ambiente di lavoro e con il solo compito di consegnare la posta: di fatto, un demansionamento protrattosi fino alla data della pensione.

Dalla causa legale che ne era seguita, i giudici avevano assunto posizioni differenti.

In primo grado, il tribunale aveva respinto la domanda dell’uomo, che chiedeva il riconoscimento delle mansioni superiori e le differenze retributive.

In appello, invece, la magistratura aveva riconosciuto il diritto a un inquadramento più elevato – ma soltanto per un periodo limitato, coincidente con lo svolgimento di mansioni superiori, corrispondenti alla V fascia funzionale del contratto collettivo. Parallelamente, aveva disposto la condanna del datore di lavoro al versamento delle differenze retributive maturate in quel periodo.

L’uomo non si era arreso e aveva presentato ricorso in Cassazione per ottenere il riconoscimento delle mansioni di rango superiore anche per il periodo successivo, fino al pensionamento. Tuttavia, i giudici di piazza Cavour confermarono la decisione d’appello, respingendo la sua richiesta di promozione definitiva.

I punti chiave della sentenza d’appello su promozione e demansionamento

In un nuovo e distinto giudizio, l’uomo chiese il risarcimento dei danni fisici e morali patiti per l’asserito demansionamento, ma la magistratura respinse ancora la domanda. Sorvolando sui dettagli procedurali di una complicata disputa giudiziaria e venendo ai punti che qui interessano, la sentenza n. 1674 della corte d’appello di Bari:

In sostanza l’uomo era semplicemente tornato a svolgere le mansioni proprie della sua qualifica di appartenenza (III fascia), dopo un periodo in cui, soltanto temporaneamente, aveva svolto compiti di livello superiore.

In termini pratici, il ritorno alle mansioni originarie non andava inteso come demansionamento, ma semplicemente come cessazione dell’incarico superiore e temporaneo. Nel rispetto della legge vigente, quindi, il dipendente aveva già ottenuto le differenze di salario per il periodo di esercizio di mansioni di più alto rango, ma non aveva anche diritto alla promozione automatica, né al definitivo passaggio alla fascia funzionale superiore.

Cosa prevede la legge all’art. 2103 del Codice Civile

L’art. 2103 del Codice Civile regola in modo dettagliato la materia delle mansioni. In particolare, il comma 7 fissa che, se il lavoratore viene assegnato a mansioni superiori, ha diritto al trattamento economico corrispondente all’attività effettivamente svolta.

L’avanzamento professionale può esserci quando:

In circostanze come queste la legge riconosce al lavoratore la cosiddetta promozione automatica, cioè l’acquisizione definitiva della qualifica superiore. Ma attenzione, perché la giurisprudenza ha anche chiarito che spetta al dipendente che rivendica il passaggio di grado, provare di aver svolto in modo continuativo, prevalente e pieno mansioni proprie della categoria più alta.

Sarà poi compito del giudice, anche alla luce del Ccnl di riferimento, valutare l’effettivo diritto alla promozione e allo stipendio più alto (sentenze Cassazione n. 21338/2006, n. 4946/2004, n. 9165/2001, n. 8166/2001).

La prova dell’acquisizione delle competenze

In sostanza, per i giudici, non basta che il lavoratore svolga attività occasionali o di supporto, a ruoli di livello superiore. Perché si possa parlare di promozione, è infatti necessario che l’assegnazione sia piena, ossia che determini:

Di questo dovrà essere data prova dal dipendente, nel caso si rivolga al giudice per vedersi riconosciuta la promozione. Perciò, senza dimostrare le proprie capacità professionali nel livello superiore, al dipendente non spetterà il passaggio di grado (Cassazione 18744/2024).

Coerentemente, in una sentenza di qualche anno fa (la n. 27129/2018), la Suprema Corte ha precisato che brevi periodi di assegnazione a compiti superiori non possono sommarsi automaticamente tra loro per la promozione, a meno che non sia provata una programmazione aziendale fraudolenta o utilitaristica, mirata a eludere la legge.

Che cosa cambia con la sentenza 1674/2025

La sentenza n. 1674/2025 della corte d’appello barese ha affrontato il tema dei rapporti tra assegnazione di mansioni superiori e la promozione automatica, chiarendo una volta per tutte che per ottenere un’assegnazione definitiva è necessaria l’assunzione piena e stabile delle responsabilità connesse alle attività di livello più alto.

Sicuramente, la vicenda del dipendente del consorzio di bonifica dimostra come la materia dello spostamento di mansioni sia complessa, richiedendo un’attenta analisi caso per caso. Sono temi delicati perché si legano all’importo in busta paga. Basti pensare alla ricca giurisprudenza in materia, ad esempio sul mancato pagamento della retribuzione da parte dell’azienda.

In generale, se è vero che il lavoratore ha sempre diritto allo stipendio corrispondente alle mansioni effettivamente svolte, è però altrettanto vero che la promozione automatica scatta soltanto se le mansioni superiori vengono svolte in modo continuativo e con adeguata professionalità e know how.

Concludendo, la giurisprudenza ribadisce che non esiste alcun automatismo nel passaggio di livello. Ciò che conta è la reale natura delle mansioni svolte e la volontà delle parti.

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