Se c’è un record che l’Italia sembra mantenere, è quello della difficoltà dei suoi giovani laureati a trovare un’occupazione. L’ultimo rapporto di Eurostat conferma quello che ormai è diventato un copione noto: il nostro Paese è in fondo alla classifica per l’assorbimento dei neo-laureati nel mercato del lavoro. E non si tratta di uno scivolone momentaneo, ma di una tendenza che continua a ripetersi anno dopo anno.
I numeri parlano chiaro: nel 2023 solo il 67,5% dei laureati italiani tra i 20 e i 34 anni è riuscito a mettere piede nel mondo del lavoro dopo la laurea. Un dato che non solo ci pone al di sotto della media europea, pari all’83,5%, ma ci lascia ben distanti da Paesi come Malta (95,8%) o i Paesi Bassi (93,2%), dove la laurea è ancora sinonimo di opportunità.
Il paradosso italiano: i pochi che si laureano non trovano lavoro
Dai dati Eurostat emerge un quadro sempre più preoccupante per il mercato del lavoro italiano. Mentre a livello europeo l’83,5% dei neo-laureati trova un impiego entro tre anni dalla laurea, in Italia la percentuale crolla al 67,5%, l’ultimo posto in Europa. Questa differenza non è solo numerica, ma riflette una disconnessione tra il sistema educativo e le esigenze del mercato del lavoro.
In una nazione che dovrebbe puntare su innovazione e capitale umano, la laurea sembra sempre più una strada verso la precarietà o, peggio, l’inoccupazione.
In Italia, nonostante gli sforzi per avvicinarsi ai livelli europei, non è solo il tasso di occupazione dei giovani laureati a destare preoccupazione. La questione si aggrava quando si osserva un dato ancora più sconcertante: abbiamo pochi laureati e, di questi, ancora meno riescono a trovare lavoro.
Il Paese soffre di una carenza cronica di laureati, ben al di sotto della media europea, e non riesce a trattenere o valorizzare quei pochi che decidono di investire anni nello studio. Ci troviamo così di fronte a un quadro di talenti inutilizzati e occasioni perse. E mentre altrove i giovani trovano impiego rapidamente, qui uno su tre resta a casa, a guardare le opportunità scivolare via.
Terza economia d’Europa, ultima per occupazione giovanile
L’Italia, terza economia dell’eurozona, sta perdendo terreno. La competitività internazionale non si costruisce solo con investimenti industriali, ma anche con un esercito di giovani qualificati pronti a fare la differenza. Ma se quei giovani sono costretti a fare i conti con un mercato del lavoro che sembra ignorarli, la strada verso la ripresa economica rischia di diventare sempre più lunga e accidentata.
Il gap con i Paesi leader dell’occupazione giovanile è impressionante. Germania, Paesi Bassi e Malta (con tassi rispettivamente del 95,8%, 93,2% e 91,5%) rappresentano l’esempio di una gestione efficace dei talenti. Qui, i laureati trovano rapidamente impiego e contribuiscono alla crescita delle rispettive economie. Dall’altra parte, l’Italia sembra incapace di far tesoro delle proprie risorse più preziose.
La fuga dei cervelli continua
Il fenomeno della fuga dei cervelli non è certo una sorpresa, ma un’ovvia conseguenza. Sempre più giovani laureati italiani guardano oltreconfine per cercare opportunità che il proprio Paese non sa offrire. Ogni anno, migliaia di talenti scelgono di costruirsi un futuro altrove, lasciando l’Italia ancora più povera di competenze e di prospettive.