Perché il lavoro dipendente non attrae la Gen Z?

La Gen Z vive in una società in profondo cambiamento e potrebbe trovare nel lavoro autonomo la chiave di equilibrio tra ambizione e serenità. Una interessante ricerca

Pubblicato: 12 Ottobre 2024 10:00

Claudio Garau

Editor esperto in materie giuridiche

Laureato in Giurisprudenza, con esperienza legale, ora redattore web per giornali online. Ha una passione per la scrittura e la tecnologia, con un focus particolare sull'informazione giuridica.

Lo scorso anno un’indagine Eurobarometro indicava che i tirocini rappresentano un significativo punto di partenza per consentire ai giovani di entrare nel mercato del lavoro, e restarvi stabilmente. Tra gli intervistati, infatti, sette persone su dieci (68%) hanno trovato un lavoro dopo un tirocinio e, di questi, più della metà (39%) ha firmato un contratto con lo stesso datore di lavoro.

Tuttavia il rapporto di lavoro dipendente – in Italia come nel resto d’Europa – non attrae più come nel passato. In particolare non attrae la Generazione Z, ossia i giovani nati tra gli anni ’90 del secolo scorso e il primo decennio di questo secolo. Quasi un ragazzo su due ambisce infatti a lavorare come autonomo, senza posto fisso e orario di lavoro da rispettare giornalmente.

Lo indica la ricerca “Imprenditoria Sociale e Giovani” pubblicata dalla Commissione Europea e realizzata sui dati relativi a ottobre di due anni fa. Quanto ricavato dall’analisi è interessante perché indica un trend che riguarda gli under 30, i quali paiono molto più attenti a ricercare un equilibrio tra vita privata e obiettivi di carriera. Il lavoro autonomo può essere allora la miglior soluzione, vediamo più da vicino perché.

Lavorare in modo autonomo con la tecnologia attira la Gen Z

I giovani della Gen Z sanno usare alla perfezione i prodotti tecnologici e, proprio per questo, trovano in internet e nei dispositivi come smartphone, tablet e pc portatili gli strumenti per realizzare il loro sogno lavorativo. Secondo l’indagine della Commissione Europea, ben il 46% dei giovani tra i 15 e i 30 anni in area UE considera seriamente la possibilità di avviare un’attività autonoma o imprenditoriale, seguendo un andamento consolidato grazie alla presenza di un numero sempre maggiore di streamer, influencer, content creator e startupper. Pertanto i giovani non guardano soltanto alle classiche professioni con partita Iva di stampo ‘commerciale’, ma si stanno orientando anche alle nuove e redditizie attività collegate al web.

Sono le nuove professioni del digitale, sempre più popolari e chiacchierate ma anche gestibili con elasticità nel corso della giornata e senza direttive imposte da questa o quell’azienda. Le figure professionali appena citate – e sono soltanto alcuni esempi – si stanno affermando un po’ in tutta Europa, grazie a innovativi lavoratori autonomi, specializzati nella produzione di contenuti web dei più svariati campi e nello sviluppo di idee e progetti innovativi, in grado di fare breccia tra gli interessi degli utenti.

Gli ostacoli al lavoro in proprio

Più libertà e flessibilità, insieme a più ambiziose prospettive economiche, sono elementi che attirano i giovani europei della Generazione Z verso il lavoro autonomo o l’attività in proprio. Ma se è vero che se quasi un under 30 europeo su due sta pensando a questa ipotesi lavorativa, è altrettanto vero che in gioco ci sono pericoli, dubbi e problemi che potrebbero far desistere dall’iniziativa.

Il rischio imprenditoriale, la mancanza di conoscenze e competenze, una rete di relazioni non sempre estesissima, come anche i costi e le tasse legate all’apertura e gestione di una partita Iva, sono infatti fattori che si oppongono all’avvio di un’attività autonoma.

Ecco perché, come segnala la Commissione europea, soltanto il 9% dei giovani Gen Z intervistati ha confermato di aver già avviato un’attività in proprio, mentre il 14% sta cercando informazioni utili per realizzare i propri obiettivi professionali. Gli altri restano in una sorta di zona ‘grigia’, in un misto tra voglia di fare e preoccupazione per i potenziali rischi.

 Quali settori piacciono di più

A questo punto ci si potrebbe chiedere quali sono gli ambiti in cui i giovani europei sentono di potersi esprimere al meglio con il lavoro autonomo. Ecco allora un sintetico elenco che si può trarre dall’indagine promossa dalle istituzioni comunitarie:

La Gen Z mostra invece minor interesse verso altri settori, come l’educazione, la ricerca o l’agricoltura.

Lavoro digitale, non è tutto rose e fiori

Nonostante il lavoro autonomo a moltissimi giovani piaccia di più del posto fisso così ambito in passato, il 55% degli intervistati nell’ambito della ricerca “Imprenditoria Sociale e Giovani“, continua a preferire il lavoro subordinato classico per le sicurezze e le garanzie che dà (come ad es. le ferie e lo stipendio fisso). Ma, per la bontà dell’esperienza complessiva, la Gen Z ritiene essenziale che un datore di lavoro abbia indicato obiettivi sociali (75%) o ambientali (73%) per l’azienda. Anzi, come abbiamo già ricordato in un nostro recente articolo, gli under 30 sono molto attenti alla tematica green.

Da parte loro, le imprese si sono adeguate alla società che cambia, adottando nuove strategie per l’organizzazione dell’attività, aprendo a modalità di svolgimento del lavoro a distanza – con lo smart working e una postazione internet domestica – e a ruoli aziendali a contenuto prettamente digitale, come ad es. il remote work facilitator. In particolare, quest’ultimo si occupa della coordinazione delle risorse umane, degli spazi e delle tecnologie necessarie per garantire la produttività anche a distanza.

Concludendo, l’economia digitale offre certamente opportunità ai giovani della Generazione Z, e non solo a loro, ma a ben vedere la partita Iva non appare una soluzione applicabile a tutti. Le tutele connesse al lavoro dipendente, come il diritto alla retribuzione, i Ccnl, la protezione della sicurezza e della salute, i permessi per malattia, congedi parentali e tanto altro non valgono per coloro che scelgono di lavorare in proprio – anche grazie al web. Proprio per questo, non manca chi tenta la strada della professione digitale, per poi cambiarla e rivolgersi ad un lavoro subordinato e più tradizionale.

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