Leadership al femminile, nel 2024 solo il 31,7% donne in posizioni di potere

Dati report sulla parità: meno del livello minimo di rappresentanza paritaria tra i generi nei ruoli di potere in politica e nelle imprese

Pubblicato: 10 Luglio 2024 14:37

Giorgia Bonamoneta

Giornalista

Nata ad Anzio, dopo la laurea in Editoria e Scrittura e un periodo in Belgio, ha iniziato a scrivere di attualità, geopolitica, lavoro e giovani.

Nel 2024, solo il 31,7% delle posizioni di potere a livello globale sono occupate da donne. Un dato evidenziato dal Global Gender Gap report, che mostra come, nonostante alcuni progressi negli ultimi decenni, le donne continuano a essere sottorappresentate nelle posizioni decisionali, sia nella politica che nelle imprese. 

Stato attuale della leadership femminile: i dati del Global gender gap report

A livello globale, la parità di genere nella rappresentanza parlamentare ha raggiunto un record del 33% nel 2024, quasi il doppio rispetto al 2006, quando era al 18,8% . Eppure solo 25 donne sono a capo di Stati in 24 economie, con un decremento rispetto al passato. Tra marzo 2023 e marzo 2024, 7 donne hanno lasciato la loro posizione di capo di Stato, mentre solo 2 sono state elette.

La parità di genere però varia notevolmente tra le regioni prese a esame. In America Latina, si osserva un miglioramento continuo, mentre in Asia Centrale i tassi di parità stanno diminuendo. Economie come gli Emirati Arabi Uniti stanno contribuendo positivamente alla traiettoria globale, posizionandosi sopra l’Italia. In altri Paesi, come la Germania, la rappresentanza femminile a livello parlamentare è ancora limitata, con un punteggio del 54,6% .

Nel settore privato e di impresa, il percorso verso i vertici aziendali è ancora più arduo. Le donne costituiscono il 46% delle posizioni di ingresso, ma solo il 24% delle posizioni di C-suite, con un calo del 21,5% nella rappresentanza man mano che si sale la scala gerarchica. Inoltre, la rappresentanza femminile nei ruoli di leadership ha visto un deterioramento negli ultimi anni, passando dal 37,5% nel 2021 al 36,4% nel 2024.

Il dettaglio delle regioni per la accesso alle posizioni di leadership:

La rappresentanza femminile in posizioni di leadership è influenzata anche dalle condizioni macroeconomiche. I dati del report suggeriscono che il peggioramento delle condizioni del mercato del lavoro è associato a una riduzione delle assunzioni di donne in ruoli di leadership, tendenza particolarmente evidente in settori con una bassa rappresentanza femminile, come l’industria del petrolio, gas, miniere ed edilizia.

Rappresentatività politica in Italia: i dati in peggioramento

In Italia non va meglio. La quota di donne in posizioni apicali nei ministeri o presso la presidenza del consiglio è pari al 30,3%. Da fine 2019 il dato (41,4%) è calato di oltre 11 punti percentuali.

Openpolis ha analizzato le posizioni apicali dei ministeri e della presidenza del Consiglio. Nei ministeri organizzati per dipartimento sono stati verificate le presenze femminili tra i capi dipartimento, mentre in quelli organizzati per direzioni regionali sono state prese in considerazione le posizioni di direttori generali e segretari generali. Su questi criteri è stato analizzato che le donne in carica in tali posizione:

sono 37 su 122 (30,3%) il che significa che meno di un terzo delle posizioni più importanti della pubblica amministrazione è occupata da una donna.

Un dato che è buona parte conseguenza, in particolar modo se si tratta di nuova nomina o di conferma, dell’attuale governo. Discorso diverso invece per i ministeri dell’Interno, degli Esteri e della Difesa, dove i dirigenti possono essere ricollocati. In ogni caso sono 72 gli incarichi tra quelli descritti che hanno ricevuto nomina o conferma dal governo Meloni, ovvero il 59%. L’esecutivo in carica non è quindi l’unico responsabile dell’attuale situazione di sottorappresentanza delle donne all’interno dell’istituzioni, ma ha avuto un ruolo fondamentale avendo nominato ben più della metà dei ruoli.

Rispetto al 2019 quando si è raggiunta la percentuale più alta di donne in posizione apicale, ovvero il 41,4%, tra il 2020 e il 2023 si sono persi punti percentuali, anche se in maniera ridotta. Il minimo è stato raggiunto a fine 2021, con il 35,9%, poi risalito al 37,6% nel giugno dello stesso anno.

È da considerare che il 40% è ritenuto il dato garante dell’equilibrio di genere. Il governo Meloni, secondo i dati 2023, ha però ridotto drasticamente la percentuale di donne nelle posizioni apicali, con un calo di 7 punti percentuali.

Fonte: ANSA
Donne in posizioni apicali nel governo Meloni

Tra i ministeri e la presidenza del Consiglio sono 9 le strutture in cui si è ridotta la presenza femminile:

Leadership nelle aziende: l’Italia tra le migliori in Ue

Diversa invece la tendenza nei ruoli di potere all’interno delle aziende. È aumentata infatti la presenza femminile nelle posizioni di leadership, secondo il rapporto Woman in Business 2023 le donne Ceo in Italia sono salite al 24% rispetto al 20% del 2022.

L’Italia, insieme alla Francia, è l’unico paese dell’Unione Europea ad avere più del 90% di aziende in regola con le norme previste dalla Direttiva europea Woman on boards. La direttiva punta a raggiungere una quota femminile pari ad almeno il 40% tra gli amministratori non esecutivi nei Cda o del 33% tra tutti i consiglieri d’impresa entro giugno 2026.

Il grande problema della leadership femminile è che spesso, come la direttiva europea tristemente dimostra, deve essere condizionata da progetti a contrasto del divario di genere. Come le quote rosa, anche la percentuale minima di donne nelle posizioni apicali è un tentativo di salvaguardia come si fa con una specie in via d’estinzione e non un processo naturale di meritocrazia nel quale donne e uomini vengono considerati capaci di raggiungere allo stesso modo posizioni di potere.

L’alternativa, purtroppo, non esiste. Il problema è culturale e dipende da bias di genere, ovvero stereotipi sulle donne nel mondo del lavoro o al potere. Quindi anche se aumentano le donne lavoratrici (oggi rappresentano il 46% di tutti gli occupati), quelle che riescono a raggiungere posizioni apicali e diventre leader sono solo il 32%.

Secondo il report, le donne sono ancora sottorappresentate nei vertici aziendali in tutta Europa, persino nell’ammirata Germania, nell’innovativa Spagna e a casa dei cugini francesi. Le percentuali sono tutte al di sotto del 40% che indica il livello minimo di parità di rappresentanza.

Nel dettaglio:

I settori dove la rappresentatività è “rotta”: più donne, ma meno potere

Ci sono poi settori in cui il gender gap è ancora più marcato e la differenza di rappresentanza femminile si sente forte e chiara. Per esempio nel settore della sanità, nell’istruzione e nel retail. In questi settori l’occupazione femminile è molto alta rispetto alla media, ma le posizioni di potere sono occupate per la maggior parte dagli uomini.

Fonte: GGGReport
I settori dove lavorano le donne, ma non in posizioni apicale

Quindi anche se nella sanità l’occupazione femminile è pari al 63%, solo il 38% delle donne è in posizione di leadership; accade anche negli altri due settori, come nell’istruzione dove le donne rappresentano il 61% del totale dei lavoratori, ma solo il 45% ricopre un ruolo al vertice.

I motivi sono vari e disperati più che disparati. La questione è atavica ed è quella della conciliazione tra vita privata e lavoro, perché sulle donne pesa anche il carico della responsabilità domestica e familiare, quindi di cura della casa, dei più piccoli e degli anziani. Inoltre, per quanto scontato, gli uomini tendono a fare squadra ed essendo già in posizioni di potere, quando si trovano a dover scegliere, difficilmente puntano a favore della scalata della donna.

Dietro la scelta di cementifiare un soffitto di cristallo già piuttosto spesso, ci possono essere simpatia per i propri colleghi maschi, stereotipi sull’inefficienza o la mancanza di tempo delle donne o anche qualcosa di più grave, come non credere le donne capaci di stare in una posizione di potere. Per questo il cambiamento è lento e difficile da produrre, perché non parte dai luoghi educativi, né dall’alto della politica.

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