I contributi Inps non si possono ridurre neanche con accordi aziendali

La Cassazione stabilisce che i contributi Inps si calcolano su quanto spetta al lavoratore, non su quanto pagato. Cosa cambia

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Claudio Garau

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Una decisione della Cassazione di pochi giorni fa offre un significativo chiarimento ai dipendenti e datori di lavoro. Infatti, ai fini del calcolo dei contributi previdenziali non conta soltanto quanto viene effettivamente pagato al lavoratore, ma ciò che gli spetta secondo legge, contratto collettivo o contratto individuale.

I giudici di piazza Cavour hanno così ribadito che nessun accordo aziendale può giustificare stipendi più bassi di quelli previsti dal contratto collettivo di riferimento, né per la retribuzione effettiva né per la base di calcolo dei contributi.

Vediamo allora più da vicino la pronuncia 30457/2025, per capirne la sua importanza per la generalità dei rapporti di lavoro subordinato.

La mancata contribuzione contestata e le prime fasi della disputa giudiziaria

La vicenda giudiziaria riguardava il comitato di Bolzano della Croce Rossa Italiana e l’Inps.

In un verbale ispettivo veniva contestata alla Croce Rossa locale un’omissione contributiva, relativa a diverse voci retributive non incluse nell’imponibile. In altre parole, alla Croce Rossa era contestato di aver versato meno contributi di quelli dovuti.

La Cri impugnava il verbale in tribunale, opponendosi alla pretesa contributiva Inps.

Qui, il giudice di primo grado accoglieva solo in parte il ricorso della Croce Rossa. Infatti, escludeva alcune indennità (mensile, di turno oraria e di servizio piste) dall’imponibile contributivo, ma confermava la restante parte della pretesa dell’ente previdenziale.

A sua volta, Inps proponeva appello lamentando un errore della magistratura nella parte in cui aveva accolto le richieste della Cri, ridotto la base imponibile contributiva e riconosciuto che alla Croce Rossa spettava pagare meno contributi di quelli richiesti.

Anche in questa fase del processo, però, il giudice di secondo grado accoglieva le richieste soltanto parzialmente. In breve, la mera indennità di servizio piste veniva considerata imponibile sul piano contributivo, mentre erano escluse sia quella mensile sia quella di turno oraria.

Il rapporto tra contrattazione integrativa e contratti individuali di lavoro

Contro questa decisione, l’ente previdenziale proponeva ricorso presso la Suprema Corte, sostenendo che l’indennità di turno fosse prevista nei contratti individuali e dovesse essere assoggettata comunque a contribuzione.

Per gli Ermellini, la corte territoriale ha sbagliato il suo ragionamento tecnico-giuridico.

Infatti, ha dato importanza al fatto che l’indennità fosse prevista da un contratto integrativo aziendale, trascurando invece che la stessa indennità risultava riconosciuta nei contratti individuali di lavoro.

Ebbene, la Suprema Corte ha ribaltato questo esito, accogliendo le argomentazioni dell’ente previdenziale:

In sintesi, chiarisce la Cassazione:

il venir meno del contratto integrativo aziendale rappresenta un trattamento peggiorativo per i lavoratori rispetto a quello garantito dai contratti individuali.

In questa situazione il datore avrebbe dovuto continuare a versare i contributi su una base imponibile più ampia.

Il perimetro del minimale contributivo

Non solo. La sentenza d’appello non chiariva quale fosse il contratto collettivo applicabile, se ve ne fosse uno applicabile e se, in ragione di esso, l’indennità fosse dovuta. Ma la questione non ha importanza per la Corte di Cassazione. Infatti:

una volta riconosciuta l’indennità nei contratti individuali, essa contribuiva a definire il minimale sul quale calcolare i contributi.

Parallelamente viene ricordato che le norme — e in particolare l’art. 1 del DL 338/1989 (convertito nella legge 389/1989) — nel definire il concetto di minimale contributivo stabiliscono che:

la retribuzione da assumere come base per il calcolo dei contributi di previdenza e di assistenza sociale non può essere inferiore all’importo delle retribuzioni stabilito da leggi, regolamenti, contratti collettivi, stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative su base nazionale, ovvero da accordi collettivi o contratti individuali, qualora ne derivi una retribuzione di importo superiore a quello previsto dal contratto collettivo.

La regola in oggetto si riferisce direttamente anche ai contratti individuali, quando ne derivi una retribuzione più alta di quella prevista dal contratto collettivo. In pratica, se:

Non conta ciò che viene pagato al lavoratore, ma ciò che è dovuto per regola scritta.

Il principio giurisprudenziale ribadito dalla Cassazione

Con la pronuncia n. 30457/2025, la Suprema Corte ha confermato una costante linea giurisprudenziale, per cui le indennità previste nei contratti individuali — indipendentemente dal “destino” di un successivo accordo aziendale — devono essere considerate nella base imponibile contributiva.

Infatti, il sistema previdenziale fissa regole imperative e inderogabili dalla volontà delle parti, tanto che — anche se un contratto aziendale viene revocato o perde efficacia — i diritti maturati con il contratto individuale restano.

Al contempo, il principio del minimale contributivo non può essere aggirato per risparmiare. Perciò, non si può ridurre l’imponibile contributivo con accordi aziendali peggiorativi. Altrimenti Inps potrà validamente contestare il comportamento dell’azienda.

Infatti, la contribuzione si calcola sul trattamento astrattamente dovuto al lavoratore in ragione del contratto collettivo, oppure anche del contratto individuale se quest’ultimo riconosce una maggiore retribuzione. E non ha importanza la retribuzione in concreto versata, ma quella individuata dalle norme di legge vigente.

Pertanto, la sentenza d’appello è stata cassata e il procedimento rinviato nuovamente alla corte d’appello per adeguarsi a questo principio.

Che cosa cambia per i lavoratori

Se al lavoratore spettano somme previste per contratto, devono sempre essere considerate nella base di calcolo dei contributi Inps, indipendentemente dal fatto che il datore le versi o meno.

Quindi se un dipendente ha maturato il diritto a 200 euro di indennità non inseriti in busta paga, i contributi ai fini Inps devono comunque essere calcolati su quella cifra.

La pronuncia n. 30457 della Cassazione è molto importante per la generalità dei rapporti di lavoro, perché non soltanto tutela la correttezza contributiva, ma anche protegge i diritti pensionistici dei lavoratori. Infatti, una base imponibile più bassa porterà a una pensione futura di importo inferiore.

Allo stesso tempo, la Corte stimola la parità concorrenziale tra le aziende, evitando trattamenti più favorevoli a chi riduce artificiosamente il monte salari dichiarato.

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