Il 30 luglio i consumatori europei hanno vinto una battaglia: è entrata in vigore la direttiva per il diritto alla riparazione. Si tratta di una normativa che promette di ridurre i costi e i tempi di riparazione dei dispositivi elettronici e di altri beni durevoli. Basta cambiare il telefono dopo una rottura solo perché non si trovano i pezzi.
La misura, approvata dall’Unione Europea, mira a promuovere la sostenibilità e a combattere l’obsolescenza programmata. Come funziona esattamente? Scopriamolo.
Cos’è il diritto alla riparazione?
Il diritto alla riparazione è una normativa dell’Unione Europea volta a garantire ai consumatori la possibilità di riparare i propri dispositivi elettronici e altri beni durevoli, invece di sostituirli. L’iniziativa fa parte di un più ampio sforzo dell’Ue per promuovere l’economia circolare, ridurre i rifiuti elettronici (Raee) e migliorare la sostenibilità ambientale.
Ma cosa cambia nel dettaglio? Presto detto. La normativa introduce una serie di obblighi per i produttori, tra cui la fornitura di pezzi di ricambio e strumenti di riparazione a prezzi ragionevoli e la trasparenza sulle procedure di riparazione. L’obiettivo principale è prolungare la vita utile dei prodotti, riducendo così il volume dei rifiuti e il consumo di risorse naturali.
Da quando è attiva?
La direttiva sul diritto alla riparazione rappresenta un passo avanti importante verso un’Europa più green, sostenibile ed equa. Gli Stati membri avranno quindi solo 24 mesi di tempo per recepire la direttiva nella legislazione nazionale. In Italia diverse associazioni dei consumatori si sono augurate che il governo Meloni agisca tempestivamente e che sia tra i primi a disporre il recepimento della normativa per mandare un segnale.
Da aprile, quando il Parlamento europeo ha approvato la direttiva relativa al diritto alla riparazione con 584 voti favorevoli, 3 contrari e 14 astensioni, il 30 luglio è entrato finalmente in vigore.
Cosa prevede la normativa: costi e tempi
La normativa è lunga e strutturata, ma in termini semplici si può dire che introduce una serie di misure specifiche per facilitare la riparazione dei beni di consumo e ridurre i costi per i consumatori. Una lista di ciò che prevede la normativa, prima di scendere nel dettaglio, è la seguente:
- obbligo di riparazione
- accesso ai ricambi e agli strumenti
- informazioni e trasparenza
In particolare, in altre parole, per i produttori cambia molto. Infatti sono ora obbligati a fornire servizi di riparazione tempestivi ed economici. I beni che godono di una garanzia legale beneficeranno di un’estensione di un anno se il consumatore sceglie di riparare il prodotto invece di sostituirlo. Anche una volta scaduta la garanzia legale, i produttori dovranno intervenire sui prodotti domestici più comuni, come lavatrici, aspirapolvere e smartphone, purché tecnicamente riparabili.
I produttori devono inoltre rendere disponibili pezzi di ricambio e strumenti di riparazione a prezzi ragionevoli. Non potranno più ostacolare l’uso di pezzi di ricambio di seconda mano o stampati in 3D da parte di riparatori indipendenti. Questo permetterà una maggiore flessibilità e accessibilità nella riparazione dei dispositivi.
A questo si aggiunge un modulo europeo di informazione che aiuterà i consumatori a valutare e confrontare i servizi di riparazione, specificando la natura del difetto, il prezzo e la durata della riparazione. Infine una piattaforma online europea con sezioni nazionali faciliterà la ricerca di negozi di riparazione locali, venditori di beni ricondizionati e iniziative di riparazione comunitarie come i “repair café”.
La direttiva nel contesto green (e non solo): le aspettative
C’è molta aspettativa per il successo della direttiva. Sappiamo infatti che le condizioni di vita sono in peggioramento per via delle conseguenze di un cambiamento climatico sempre meno isolato. Ora che colpisce duramente anche l’Ue, è tempo di prendere tutta una serie di decisioni scomode, ma necessarie, per ridurre l’impatto della produzione umana sull’ambiente. Un caso è quello della direttiva Ue per il settore tessile, come anche il blocco della produzione di auto diesel e benzina.
In questo contesto ridurre i rifiuti elettronici avrà un impatto significativo e positivo sull’ambiente. La Commissione europea stima che la misura potrebbe ridurre l’uso di risorse di 30 milioni di tonnellate e la produzione di rifiuti di 35 milioni di tonnellate ogni anno, contribuendo così alla riduzione delle emissioni di CO2 e al risparmio di risorse naturali.
Anche da un punto di vista economico ci sono dei vantaggi. Secondo le stime, i consumatori potranno risparmiare sui costi di sostituzione dei dispositivi, con un risparmio calcolato di circa 12 miliardi di euro all’anno. Inoltre, il settore delle riparazioni potrebbe vedere una crescita significativa, creando nuove opportunità di lavoro e rafforzando l’economia locale.
Gli unici che in apparenza potrebbero avere dei problemi sono i produttori, che non possono più adottare strategie non trasparenti per la riparazione e puntare così a un ricambio dei prodotti tecnologici a un ritmo sempre più rapido. Se c’è un aspetto positivo per loro però è che saranno incentivati a rivedere i loro modelli di business, a puntare su prodotti di qualità e duraturi. È una sfida, una delle tante, che potrebbe portare a un’innovazione nella progettazione dei prodotti, rendendoli non solo più riparabili, ma anche più sostenibili.
Tuttavia, la normativa non è priva di critiche. Alcuni produttori sostengono che i nuovi obblighi potrebbero aumentare i costi di produzione, che potrebbero essere trasferiti ai consumatori. Inoltre, la reale efficacia della normativa dipenderà da come verrà implementata nei diversi Stati membri e dal rispetto delle nuove regole da parte dei produttori.