Ripristino della natura, il Regolamento Ue diventa legge ed entra in vigore il 18 agosto

Pilastro della strategia dell'Ue per la biodiversità, la Legge punta a ripristinare le aree naturali degradate attraverso una tabella di marcia in tre tappe

Pubblicato: 30 Luglio 2024 14:24

Matteo Paolini

Giornalista green

Nel 2012 ottiene l’iscrizione all’Albo dei giornalisti pubblicisti. Dal 2015 lavora come giornalista freelance occupandosi di tematiche ambientali.

Oggi, 29 luglio, è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale europea il regolamento 2024/1991 sul ripristino della natura, che entrerà in vigore il prossimo 18 agosto. Il regolamento, noto come Nature Restoration Law, rappresenta un elemento cruciale del Green Deal europeo. Questa normativa ha ottenuto l’approvazione definitiva dal Consiglio dell’Unione Europea il 17 giugno scorso, dopo un percorso legislativo piuttosto complesso e segnato dall’opposizione di diversi Stati membri, tra cui l’Italia.

Secondo quanto riportato nella nota ufficiale del Consiglio, la nuova legge mira a ripristinare almeno il 20% delle aree terrestri e marittime degradate entro il 2030. Questo obiettivo ambizioso si inserisce nell’ampio quadro delle iniziative europee volte a promuovere la sostenibilità ambientale e a contrastare la perdita di biodiversità.

Nell’ambito di questo obiettivo generale, gli Stati membri dell’Ue saranno tenuti a ripristinare almeno il 30% degli ecosistemi già deteriorati, coperti dalla legge, entro la fine di questo decennio. Questi ecosistemi comprendono zone umide, praterie, foreste, fiumi e laghi. Inoltre, i target di ripristino saranno progressivamente aumentati: al 60% entro il 2040 e al 90% entro il 2050. Questi traguardi progressivi riflettono l’impegno dell’Unione Europea a favorire una rigenerazione ambientale su larga scala, contribuendo significativamente alla lotta contro il cambiamento climatico e alla preservazione degli habitat naturali.

La pubblicazione del regolamento 2024/1991 rappresenta un passo fondamentale verso la realizzazione degli obiettivi ambientali del Green Deal europeo, confermando l’importanza attribuita dall’Ue al ripristino degli ecosistemi naturali e alla tutela della biodiversità.

Scadenze e obblighi per i piani nazionali di ripristino della natura

Entro il 1° settembre 2026, i 27 Stati membri dell’Unione Europea dovranno presentare alla Commissione Europea un piano nazionale di ripristino. Questo piano dovrà essere elaborato tenendo conto di vari strumenti normativi e strategici già esistenti, tra cui il Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (Pniec), la strategia nazionale a lungo termine per la riduzione dei gas-serra (come previsto dal regolamento 2018/1999 sulla governance dell’Unione dell’Energia) e la direttiva 2018/2001 sulle fonti rinnovabili.

I piani nazionali di ripristino non solo dovranno delineare chiaramente le azioni necessarie per raggiungere gli obiettivi di ripristino ambientale, ma dovranno anche dare priorità ai siti Natura 2000, una rete di aree protette istituita per garantire la conservazione degli habitat e delle specie di interesse comunitario.

Una volta presentati, questi piani non saranno statici. Dovranno essere aggiornati periodicamente, con revisioni previste nel 2032, 2042 e 2050. Ogni aggiornamento dovrà dettagliare i progressi compiuti e le nuove misure adottate per garantire il raggiungimento degli obiettivi a lungo termine stabiliti dalla legislazione europea.

Questa struttura di pianificazione e aggiornamento periodico riflette l’impegno dell’Unione europea per un approccio dinamico e flessibile nella gestione e nel ripristino degli ecosistemi naturali, assicurando che le misure adottate siano efficaci e adattabili alle nuove sfide ambientali.

L’iter complicato della Nature Restoration Law, ostacoli e compromessi

Il Nature Restoration Law ha attraversato un iter legislativo particolarmente complesso, dovendo affrontare forti resistenze da parte delle lobby agricole, sostenute dai gruppi conservatori e dal Partito Popolare Europeo.

Il Parlamento Europeo aveva approvato il testo a febbraio 2024, successivamente all’accordo raggiunto con il Consiglio nel novembre 2023. Tuttavia, l’adozione definitiva del provvedimento è stata ostacolata per mesi dall’opposizione di numerosi Paesi membri, tra cui Ungheria, Svezia, Polonia, Finlandia, Paesi Bassi, Belgio, Austria e Italia. Questo blocco ha ritardato significativamente l’avanzamento della legge.

Un punto di svolta decisivo è stato l’appoggio dell’Austria al regolamento, che, insieme al voto favorevole della Slovacchia, ha permesso di raggiungere la maggioranza qualificata necessaria. Questa maggioranza è stata ottenuta con il sostegno di 20 Paesi che rappresentano il 66% della popolazione dell’Unione Europea, appena sopra il minimo richiesto del 65%.

Nonostante l’adozione finale della legge, gli agricoltori sono riusciti a ottenere alcune concessioni significative. In particolare, è stata introdotta la possibilità di sospendere temporaneamente le misure che impattano sugli ecosistemi agricoli in circostanze eccezionali. Tra queste misure vi sono l’inserimento di elementi naturali che favoriscono la presenza di avifauna e uccelli, come siepi, filari di alberi e piccole zone umide. Queste sospensioni temporanee possono essere applicate, ad esempio, quando gli obiettivi di ripristino rischiano di compromettere la sicurezza alimentare.

Questi compromessi riflettono il delicato equilibrio necessario per conciliare gli obiettivi di ripristino ambientale con le esigenze dell’agricoltura e la sicurezza alimentare. La Nature Restoration Law, nonostante le difficoltà incontrate, rappresenta un passo avanti significativo verso la tutela della biodiversità e il ripristino degli ecosistemi degradati in tutta l’Unione europea.

Obiettivi e sfide del ripristino della natura nell’Unione europea

I Paesi dell’Unione europea dovranno impegnarsi a ripristinare almeno il 30% degli habitat in cattive condizioni entro il 2030, il 60% entro il 2040 e il 90% entro il 2050. Inoltre, dovranno garantire che le zone ripristinate non tornino a deteriorarsi in modo significativo e adottare piani nazionali di ripristino che indichino nel dettaglio come intendono raggiungere questi obiettivi.

Nonostante i significativi risultati positivi delle politiche e delle misure per la conservazione della natura, diverse valutazioni sullo stato delle specie e degli habitat nell’UE mostrano risultati allarmanti. Uno studio dell’Agenzia Europea dell’Ambiente pubblicato nel 2020 ha rivelato che solo il 15% degli habitat—ossia gli ambienti naturali in cui un animale o una pianta vive o conduce una parte dell’intero ciclo vitale—presenti nell’Ue ha un buono stato di conservazione. Al contrario, l’81% ha uno stato di conservazione inadeguato (45%) o cattivo (36%). Inoltre, il 9% degli habitat che presentano uno stato di conservazione sfavorevole mostra trend di miglioramento, mentre il 36% mostra tendenze al deterioramento.

Esistono anche molte valutazioni con stato di conservazione e trend sconosciuti, evidenziando le significative lacune nella conoscenza, soprattutto per specie e habitat marini. Questo indica che è necessario condurre ulteriori sforzi per raccogliere conoscenze e invertire le tendenze attuali a beneficio della natura, delle persone, del clima e dell’economia.

Tra i diversi tipi di habitat, le foreste mostrano le tendenze in maggior miglioramento. Viceversa, il maggior numero di tendenze al deterioramento riguarda i prati e i pascoli, gli habitat dunali, le torbiere, gli acquitrini e le paludi.

Oltre un quarto delle specie presenta un buono stato di conservazione, ovvero un aumento del 4% rispetto al periodo di riferimento precedente (2007-2012). I rettili e le piante vascolari presentano la percentuale più alta di buono stato di conservazione.

Tuttavia, il 6% delle specie con uno stato di conservazione sfavorevole mostra una tendenza al miglioramento, mentre il 35% mostra una tendenza al peggioramento. Questi dati sottolineano l’urgenza di adottare misure più efficaci e coordinate per proteggere e ripristinare gli habitat naturali.

Gli obiettivi di ripristino stabiliti dalla Nature Restoration Law rappresentano un impegno ambizioso ma necessario per affrontare le sfide ambientali attuali. La creazione di piani nazionali dettagliati e l’adozione di misure specifiche saranno fondamentali per garantire che gli sforzi di conservazione e ripristino siano efficaci e sostenibili nel lungo termine.

Obiettivi del Regolamento per il ripristino degli ecosistemi degradati

Il nuovo Regolamento dell’Unione europea mira a garantire il ripristino degli ecosistemi degradati in tutti i Paesi membri, contribuendo al contempo al raggiungimento degli obiettivi europei in materia di clima e biodiversità e migliorando la sicurezza alimentare. Per conseguire questi obiettivi, entro il 2030 gli Stati membri dovranno ripristinare il buono stato di salute di almeno il 30% degli habitat, come foreste naturali o piantate, praterie, torbiere, zone umide, fiumi, laghi e dune costiere, che attualmente versano in uno stato di conservazione cattivo o inadeguato. Questa percentuale dovrà poi raggiungere il 60% entro il 2040 e il 90% entro il 2050.

Piani nazionali di ripristino della natura

Ogni Paese membro dell’Ue sarà tenuto ad adottare un proprio piano nazionale di ripristino della natura, che dettagli gli strumenti, inclusi quelli finanziari, necessari per raggiungere gli obiettivi stabiliti. Questi piani dovranno essere sviluppati in collaborazione con la comunità scientifica per decidere a quali habitat dare priorità negli interventi di ripristino. Tuttavia, il Regolamento specifica che fino al 2030 la priorità dovrà essere accordata ai siti della rete Natura 2000, ossia alle aree protette secondo le Direttive Habitat e Uccelli, che rappresentano un quinto del territorio nazionale e un quinto del territorio dell’Unione europea. È essenziale che le zone ripristinate non subiscano un nuovo deterioramento significativo.

Indicatori per il miglioramento della biodiversità negli habitat agricoli

Per migliorare la biodiversità negli habitat agricoli, i Paesi dell’Ue dovranno registrare progressi in almeno due dei seguenti tre indicatori:

  1. Numerosità delle specie e delle popolazioni di farfalle comuni: il monitoraggio delle popolazioni di farfalle comuni fornisce un indicatore della salute degli ecosistemi agricoli.
  2. Percentuale di superficie agricola con elementi caratteristici del paesaggio con elevata diversità: questo include elementi come fasce tampone, terreni a riposo all’interno di piani di rotazione, siepi, alberi singoli o gruppi di alberi, filari arborei, margini dei campi, fossati, ruscelli, zone umide, terrazze, muretti in pietra, piccoli stagni ed elementi culturali. Questi elementi contribuiscono alla biodiversità e alla salute ecologica complessiva degli habitat agricoli.
  3. Stock di sostanza organica e carbonio organico nei terreni coltivati: il mantenimento e l’incremento dei livelli di sostanza organica nel suolo sono cruciali per la sua salute e fertilità a lungo termine, nonché per la capacità del suolo di sequestrare carbonio, contribuendo così alla mitigazione del cambiamento climatico.

Questi obiettivi e misure riflettono un impegno integrato per la conservazione della natura, la lotta ai cambiamenti climatici e la promozione della sostenibilità agricola in tutta l’Unione europea. Il Regolamento rappresenta un passo significativo verso un futuro più sostenibile, dove la tutela degli ecosistemi naturali va di pari passo con lo sviluppo economico e la sicurezza alimentare.

Nature Restoration Law: un passo avanti decisivo per la sostenibilità in Italia

L’approvazione del nuovo Regolamento europeo sul ripristino della natura, rappresenta un successo significativo per la sostenibilità ambientale in Europa. Questo regolamento, approvato poco prima della fine della legislatura, stabilisce obiettivi ambiziosi per il recupero degli ecosistemi danneggiati: il 20% entro il 2030 e la totalità entro il 2050. Questi obiettivi, insieme a quelli sulla biodiversità, come l’inversione del declino delle popolazioni di impollinatori, hanno catalizzato l’attenzione dei media e degli osservatori, nonostante le proteste di alcuni agricoltori e le resistenze di vari Paesi membri, inclusa l’Italia.

Stop al consumo di suolo: una novità rivoluzionaria

Uno degli aspetti più rivoluzionari del Regolamento è lo stop immediato al consumo di suolo in alcune aree significative del territorio nazionale. Questa misura, finora trascurata nel dibattito pubblico italiano, potrebbe estendersi entro tre anni al 36% dei Comuni italiani attraverso il Piano nazionale di ripristino. Questa estensione interesserà principalmente le aree più urbanizzate, dove risiede la maggior parte della popolazione nazionale.

Obiettivi e scadenze del Regolamento

Il Regolamento, all’articolo 8, stabilisce che entro il 31 dicembre 2030 non dovrà verificarsi “alcuna perdita netta della superficie totale degli spazi verdi urbani.” A partire dal 1° gennaio 2031, dovrà invece manifestarsi “una tendenza all’aumento” degli spazi verdi rispetto ai valori del 2024. Questa disposizione si applica anche alla copertura arborea urbana, sottolineando l’importanza della vegetazione per la salute ecologica delle città.

L’articolo 3 del Regolamento definisce gli spazi verdi urbani come aree che comprendono alberi, boscaglie, arbusti, vegetazione erbacea permanente, licheni, muschi, stagni e corsi d’acqua. Queste aree saranno monitorate utilizzando i dati del servizio di monitoraggio del territorio Copernicus. Esclusi dalle misure di ripristino sono invece i terreni agricoli temporanei, per i quali sono previste misure specifiche contro il degrado e il consumo di suolo.

Pianificazione nazionale e implementazione

L’articolo 14, comma 4, prevede che gli Stati membri determinino le zone urbane in cui si applicherà l’articolo 8 attraverso il Piano nazionale di ripristino, che dovrà essere inviato alla Commissione europea entro il 2026. Questo piano sarà sottoposto a revisione e adozione entro il 2027.

L’obbligo di evitare perdite nette di spazi verdi urbani potrà riguardare tutti i Comuni classificati come “Città” e “Piccola città e sobborghi,” ovvero il 36% dei 7960 Comuni italiani. In alternativa, potrà interessare solo parti di questi Comuni, includendo almeno le unità territoriali definite come “centri urbani” e “agglomerati urbani.”

La metodologia Degurba e la classificazione territoriale

Per comprendere le classificazioni territoriali utilizzate nel Regolamento, è utile riferirsi alla metodologia statistica europea Degurba (Degree of Urbanisation). Questa metodologia suddivide la superficie dell’Unione in celle di 1 chilometro per 1 chilometro, classificate in base alla densità di popolazione come “centri urbani,” “agglomerati urbani” e “celle rurali.”

Impatti e azioni necessarie

La mappa allegata al Rapporto sul territorio dell’Istat del 2020 illustra le aree italiane in cui si applica lo stop immediato al consumo di suolo. Queste aree includono i centri urbani con popolazione superiore a 50.000 abitanti e i sobborghi con più di 5.000 abitanti.

Ogni comune viene classificato come “Città” se almeno metà della popolazione vive in “centri urbani,” come “Zona rurale” se la maggioranza della popolazione vive in “celle rurali,” e come “Piccola città e sobborghi” se l’intensità abitativa non è prevalentemente urbana o rurale. Anche in queste aree, il consumo di suolo dovrà essere compensato con la rinaturalizzazione di superfici equivalenti.

Verso un futuro sostenibile

La Nature Restoration Law rappresenta un progresso significativo per un Paese come l’Italia, dove lo Stato non è ancora riuscito a legiferare efficacemente in materia di consumo di suolo, un fenomeno in aumento negli ultimi anni. È essenziale che gli istituti competenti, come Istat e Ispra, forniscano ai Comuni la cartografia delle unità territoriali classificate, permettendo loro di adeguare gli strumenti urbanistici e di pianificare le necessarie compensazioni territoriali.

Il Piano nazionale di ripristino dovrà essere preparato con la collaborazione volontaria dei Comuni e potrà estendere il blocco anche ai terreni agricoli coltivati a seminativo. Questa scelta di sostenibilità vedrà l’agricoltura in prima linea, dimostrando ancora una volta la sensibilità del settore verso temi cruciali come la conservazione del suolo e la sostenibilità ambientale.

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