L’Italia è davvero all’avanguardia nella fusione nucleare come dice Meloni?

Meloni ha dichiarato che l'Italia è all'avanguardia nella fusione nucleare, ma i dati non confermano questa affermazione

Pubblicato: 13 Novembre 2024 15:18Aggiornato: 13 novembre 2024 15:22

Matteo Runchi

Editor esperto di economia e attualità

Redattore esperto di tecnologia e esteri, scrive di attualità, cronaca ed economia

Durante il suo discorso alla Cop29 di Baku, Giorgia Meloni ha chiesto una maggiore attenzione alle tecnologie per lo sfruttamento della fusione nucleare ai fini di produrre energia elettrica. Questa tecnologia è oggetto di ricerca da tempo, ma nessun progetto è mai andato vicino a produrre più energia di quanta ne consumasse.

Meloni ha anche dichiarato che l’Italia è all’avanguardia per quanto riguarda la ricerca sulla fusione nucleare. Un’affermazione che però trova poche conferme nei rapporti ufficiali sullo stato di avanzamento degli studi e dei progetti su questa tecnologia.

Le dichiarazioni di Meloni sulla fusione nucleare

La presidente del Consiglio Giorgia Meloni è intervenuta alla conferenza sul clima Cop29 di Baku, in Azerbaijan. Nel suo discorso ha dedicato un passaggio importante alla fusione nucleare: “La fusione nucleare, che potrebbe produrre energia pulita, sicura e senza limiti. L’Italia è all’avanguardia sulla fusione nucleare. Nel contesto della nostra presidenza del G7 abbiamo organizzato il primo incontro del World Fusion Energy Group, patrocinato dall’Agenzia internazionale per l’energia atomica” ha detto Meloni.

La fusione nucleare è il processo con cui si genera energia nelle stelle come il Sole. È molto diversa dalla fissione nucleare, quella utilizzata nelle moderne centrali. Invece di dividere un atomo pesante per creare energia, ne fonde due leggeri, di solito di elementi simili all’idrogeno. La scienza è in grado di sfruttare questa reazione per creare armi, ma non per generare energia elettrica. Controllare questa reazione è infatti molto difficile, per questo la ricerca si concentra sui metodi di contenimento.

Definire l’Italia “all’avanguardia” è un’espressione molto precisa. Uno Stato è all’avanguardia nello sviluppo di una tecnologia quando i risultati che ottiene sono fondamentali per il progresso in quell’ambito. Per dare un termine di paragone, gli Usa sono all’avanguardia nell’esplorazione e nei lanci spaziali. Se, da un giorno all’altro, il contributo degli Stati Uniti a questo ambito si azzerasse, le ambizioni dell’intera umanità a riguardo sarebbero drasticamente ridotte.

Si può quindi dire che se l’Italia smettesse di investire nella ricerca sulla fusione nucleare, l’effetto sarebbe simile? Nell’ultimo rapporto della IAEA, l’Agenzia internazionale per l’energia atomica, sulla fusione, FusionOutlook 2023, il nostro Paese viene citato in totale 3 volte. Una nell’elenco dei Paesi membri dell’organizzazione, una in una legenda che spiega che la sigla ITA fa riferimento all’Italia e infine in un elenco di Paesi in cui si trovano aziende che operano nel settore della fusione.

I progetti italiani per la fusione nucleare

In Italia esistono due progetti di ricerca sulla fusione nucleare. Il primo è il Reversed-Field eXperiment di Padova, pensato nel 1985 e attivo dal 1992. Si tratta del più grande esperimento al mondo per il metodo di contenimento che utilizza, la strizione a campo rovesciato (Reverse Field Pinch), che però non è considerata la più promettente per l’uso commerciale. Quel ruolo lo ricopre il Tokmak, di cui si occupa il secondo progetto di ricerca italiano sulla fusione, il Divertor Tokamak Test di Frascati.

Il Dtt è finanziato da Enea e da Eni, ma non punta alla ricerca su un intero reattore. Si concentra invece su una specifica parte del sistema di contenimento Tokmak, il divertore. Se riuscirà a creare un prototipo più efficiente di quelli già esistenti potrebbe prendere parte al grande progetto europeo Demo. La sua costruzione è cominciata nel 2018, sarà completata nel 2026 ma non permetterà di raccogliere dati sperimentali prima del 2028.

Eni partecipa anche a una serie di progetti stranieri che stanno sviluppando reattori nucleari a fusione a fini di ricerca o commerciali. Ha investito in particolare in Cfs, una startup nata dall’Mit di Boston che punta a immettere energia nucleare nella rete elettrica entro gli anni ’30 di questo secolo.

Il progetto in assoluto più importante in ambito di fusione nucleare a cui l’Italia partecipa è però Iter. Situato nel sud della Francia, ha l’obiettivo di creare una reazione di fusione stabile, della durata di 10 minuti, per fini di ricerca. L’Italia partecipa attraverso l’Unione europea, insieme ad altri 34 Paesi del mondo.

L’Italia è all’avanguardia nella fusione nucleare?

La fusione nucleare è una tecnologia complessa. Al momento nemmeno gli esperimenti più avanzati riescono a creare sistemi che possano essere utilizzati a livello commerciale. Il record di efficienza appartiene al Nif, la National Ignition Facility in California, negli Usa, che nel 2022 ha ottenuto da un esperimento più energia di quanta ne fosse servita per far funzionare una specifica parte del reattore a fusione. La tecnologia utilizzata però si basava sull’impiego di laser e nessun progetto di ricerca su questo metodo di contenimento è al momento attivo in Italia.

I progetti di ricerca sulla fusione nucleare interamente gestiti dall’Italia sono quindi soltanto due. In entrambi i casi si tratta di poli di ricerca e non di tentativi di creare un sistema che possa potenzialmente essere utilizzato a livello commerciale. Anche se il contributo del nostro Paese alla ricerca in questo campo non è irrilevante, soprattutto se il progetto di Frascati dovesse ottenere risultati, non può nemmeno dirsi avanguardistico.

L’Italia segue i progressi ottenuti altrove, contribuisce attraverso enti sovranazionali come l’Unione europea ai progetti più avanzati e investe, attraverso Eni, in startup straniere che potrebbero dirsi all’avanguardia.

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