La tassa extra-profitti per le aziende energetiche è stata fin qui un sostanziale flop, ed ha patto parecchio rumore l’utile di oltre 7 miliardi di euro fatto da Eni nel primo semestre 2022 nonostante la misura già in vigore.
Una norma pensata male e scritta peggio, che ha permesso fin qui alle aziende di fare ricorso e non pagare, e che ora necessita di un tangibile restyling.
La tassa
La tassa sugli extra profitti è stata introdotta per compensare i guadagni delle imprese energetiche che, grazie all’aumento del prezzo del gas, hanno guadagnato più del previsto. L’obiettivo è recuperare risorse da utilizzare per sostenere chi, al contrario, con l’aumento del prezzo di gas e luce ha perso soldi, e tanti, perché ha pagato bollette molto più care. Sono le imprese e le famiglie, ovvero l’utente finale del mercato dell’energia. In una prima versione del Decreto Aiuti la tassa ammontava al 10% del fatturato delle aziende, nella versione approvata in via definitiva con il Decreto aiuti Bis è salita al 25%.
I ricorsi e il mancato gettito
Il flop è nei numeri: nelle casse dell’Erario è entrato sì e no un decimo dei 10,5 miliardi previsti, perché le aziende energetiche hanno deciso in gran parte di non pagare, scommettendo sull’incostituzionalità della misura e su diversi vizi formali e presentando una valanga di ricorsi, all’Autorità per l’Energia, l’Arera, e al Tar.
Draghi cambia
Secondo il sito Dagospia, ora Draghi punta a cambiare la tassa sugli extra-profitti, costretto ad ammettere che la norma è fallita perché è stata pensata e scritta male dal ministro Franco e dal sottosegretario Garofoli. Talmente lacunosa da far incetta di tanti ricorsi di incostituzionalità. La nuova norma sarà mirata su quella parte di profitti generati unicamente dal gas e dall’energia.