Nel 2019, ultimo anno in cui risultano completi i dati disponibili, l’evasione fiscale in Italia ha sfiorato i 100 miliardi di euro, pari al 18,5% di quanto dovuto allo Stato. È quanto è emerso dall’inchiesta condotta dal Dataroom del Corriere della Sera. Una cifra che – si segnala nell’articolo – se non viene ridotta entro il 2024 di quasi 15 miliardi mette a rischio il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). Un dato reso ancora più preoccupante dai trend registrati, tutti in aumento per le tre principali voci di evasione del fisco. Una montagna da scalare senza contare i 170 miliardi di euro di economia sommersa calcolati dall’Istat.
Dipendenti e pensionati il ‘bancomat’ fiscale
L’Italia è è piena di lavoratori autonimi e Partite Iva che pagano le tasse e si trovano schiacciati dal peso fiscale, ma la verità incontrovertibile fornita dai dati è una e una sola: l’Irpef viene largamente evasa (32 milardi, quasi il 70% del dovuto), e resta tutta sulle spalle di lavoratori dipendenti e pensionati, che pagano le tasse alla fonte dal primo all’ultimo euro. I quali, non per nulla, sono i più contrari alla Flat tax ed alle misure del governo sui pagamenti col Pos.
I “buchi neri” dell’evasione
La più grande fonte di evasione che è emersa dall’inchiesta del Corriere della Sera è quella dell’Irpef. Al 2019 risultano evasi da lavoratori autonomi e imprese 32 miliardi di euro, pari al 68,3% del dovuto alle casse dello Stato. Una quota in crescita se confrontata con quella del 2015, quando il dovuto evaso si fermava al 65,1%. Il secondo “buco nero” è rappresentato dall’IVA: in questo ambito la cifra non versata al fisco è risultata pari a 27,7 miliardi di euro, la più grande in Europa. Infine, c’è l’evasione da lavoro nero: in questo caso i contributi non pagati sono stati nel 2019 pari a 12,7 miliardi di euro, anche questo un dato in crescita rispetto al 2015 quando il dovuto non corrisposto allo Stato era di 11,3 miliardi. Inoltre il 70% delle aziende ispezionate ha presentato irregolarità.
I limiti al contrasto dell’evasione
L’inchiesta di Dataroom ha individuato alcune delle principali criticità del sistema fiscale italiano che rendono difficile la lotta all’evasione. In primis si cita l’analisi del rischio. “Si tratta di prendere diverse categorie di attività (dalle gioiellerie, alle carrozzerie, ai negozi di elettronica) e incrociare i dati dell’anagrafe tributaria con quelli dei conti correnti, sostituendo i nomi degli intestatari con uno pseudonimo perché non siano identificabili”. Questo genere di analisi “pseudonimizzate”, però, sono state autorizzate dal Garante della Privacy solo da giugno, dopo tre anni di attesa, e non sono mai partite. Inoltre, si mette in evidenza, nascondere i nomi dei contribuenti nella fase iniziale del processo rende meno efficienti e più lenti i controlli. Altro limite alla caccia all’evasione è rappresentato dalla mancanza di interoperabilità delle banche dati se non nel caso di una verifica puntuale. Inoltre questi incroci possono farli soltanto due uffici specializzati (Agenzia e Gdf) perché gli altri non hanno mezzi né personale con le competenze necessarie.
Le possibili soluzioni
Un primo grande passo in avanti è stata – sebbene anche questa con dei limiti posti – l’introduzione della fatturazione elettronica: risultano essere stati bloccati falsi crediti IVA per un miliardo prima di arrivare in compensazione e 2,2 di frodi carosello. L’inchiesta suggerisce di intervenire però su alcune soluzioni che, nonostante l’ampio dibattito, non sono mai state applicate. Per quel che riguarda il lavoro nero ad esempio si suggerisce b: confrontare metri quadrati delle attività, consumi di energia, numero di veicoli dell’azienda con il numero di dipendenti. Poi ci sono le risorse umane da mettere in campo: da regolamento l’Agenzia delle entrate deve avere in organico 44.000 persone, mentre oggi sono 29.000. Per potenziare l’attività sono però previste solo 4.113 assunzioni.