La mancanza di anidride carbonica colpisce un simbolo italiano dell’acqua frizzante: lo stabilimento della Sanpellegrino, nell’omonimo comune in provincia di Bergamo, ha fermato per due giorni la produzione a causa della carenza di Co2. A causa del blocco dei macchinari i 440 dipendenti dell’impianto di imbottigliamento di Rustino, in Valle Brembana, hanno dovuto prendere due giorni di ferie.
Sanpellegrino, stop alla produzione dell’acqua frizzante
È l’azienda stessa a spiegare i motivi dello stop tramite una nota: “In merito ai problemi rilevati dalle aziende del settore delle bevande dovuti alla scarsità di CO2, il gruppo San pellegrino comunica che, a causa del persistere dei cali nella fornitura di anidride carbonica, questa settimana si è reso necessario un fermo produttivo di due giorni”.
“Nonostante il generalizzato problema di carenze di materie prime che coinvolge tutti i settori e il protrarsi della situazione di estrema difficoltà del produttori di Co2, l’obiettivo dell’azienda è quello di continuare a ricercare nuove linee di approvvigionamento, per ritornare il prima possibile al normale flusso di produzione” ha comunicato l’azienda di proprietà della Nestlè.
Se il gruppo non riuscisse a trovare una soluzione in tempi utili, la caratteristica bottiglia in vetro verde della Sanpellegrino, diventata negli anni uno degli emblemi dell’acqua frizzante in Italia e nel mondo, a lungo andare potrebbe essere sempre più difficile da trovare sugli scaffali dei supermercati (qui avevamo spiegato perché manca l’acqua gassata dai supermercati).
Superato il periodo di difficoltà sulla produzione causato dalle conseguenze del Covid-19, il gruppo bergamasco è tornato nel 2021 ai livelli precedenti alla pandemia, con 3,5 miliardi di bottiglie e un fatturato da 878 milioni di euro.
La crisi delle materie prime energetiche, che sta rendendo sempre più costoso produrre l’anidride carbonica per le bibite frizzanti, potrebbe ora rappresentare un altro brutto colpo.
San Pellegrino, stop alla produzione dell’acqua frizzante: i motivi della crisi del settore
La Sanpellegrino non è l’unica azienda a pagare le conseguenze della scarsità di bollicine. A lanciare l’allarme già a inizio agosto era stato il presidente e ad di Acqua Sant’anna, Alberto Bertone, costretto anche lui a chiudere il 30% della produzione costituita dall’acqua gassata, come avevamo riportato qui.
Secondo i dati forniti da Mineracqua, la federazione dei produttori di acque minerali, nel 2021 sono stati messi in commercio 8 miliardi di litri, di cui oltre 1 miliardo con l’aggiunta di anidride carbonica: quantità che rischia di prosciugarsi sempre più velocemente.
Uno dei fattori principali della crisi del settore è lo spegnimento dell’impianto della Yara International di Ferrara, azienda specializzata nella produzione di ammoniaca, urea e fertilizzanti, ma anche di anidride carbonica con la quale riforniva oltre il 30 per cento delle aziende italiane.
L’impennata dei prezzi di gas e elettricità, necessari ad alimentare l’impianto, ha convinto il gruppo norvegese proprietario della fabbrica a spegnere la produzione che, sottocosto, non conviene più.
Assobibe, l’associazione dei produttori di bevande analcoliche interna a Confindustria, lo scorso mese di luglio aveva avvertito: “Le aziende che operano in Italia nel settore delle bevande analcoliche sono in un momento di estrema difficoltà”, spiegando che la scarsa disponibilità di questa materia prima “è un ulteriore effetto dell’aumento dei costi dell’energia e delle difficoltà di trasporto”.