Trump e la guerra commerciale all’Europa tra dazi e i ritiri da Oms e Ocse

Dazi, ritiro dagli accordi globali e Oms: Donald Trump accelera la sua strategia protezionistica, tra tensioni con l'Europa e contromisure di Canada e Messico

Pubblicato: 22 Gennaio 2025 09:50

Giorgia Bonamoneta

Giornalista

Nata ad Anzio, dopo la laurea in Editoria e Scrittura e un periodo in Belgio, ha iniziato a scrivere di attualità, geopolitica, lavoro e giovani.

Donald Trump non sta perdendo tempo e, tra una firma e l’altra per l’uscita dall’Oms e dall’accordo sulla tassazione delle multinazionali, trova il tempo di minacciare l’Europa, il Canada e il Messico con nuovi dazi.

Dazi e ancora dazi: è iniziata la guerra commerciale?

A Donald Trump piace minacciare le nazioni con i dazi. È il suo modo per dire che gli Stati Uniti sono stati trattati male dagli altri Paesi (almeno secondo lui) e che per questo vuole giustizia. Le parole sono del presidente stesso, che, in merito a presunti squilibri commerciali, ha affermato: “Ci hanno trattato male. Se non fai così, non si ottiene giustizia”.

Parole che si tramutano in una serie di iniziative, o future tali, che preoccupano un po’ tutti, oltre che i mercati. L’Europa è avvertita ufficialmente, ancora una volta, mentre ormai certi sono i dazi a Canada e Messico a partire dal 1° febbraio. La data è la stessa dei possibili dazi del 10% contro la Cina. Questi sono motivati dal commercio di sostanze utilizzate per la produzione di Fentanyl.

Non si sono fatte attendere le risposte. Dal Canada, Justin Trudeau conferma l’ipotesi di un controdazio, con un aumento delle tariffe per i prodotti americani più esportati come acciaio, vetro e ceramica. Mentre il Messico non solo vuole rispondere con misure equivalenti, ma anche coinvolgere l’Ue nel piano.

I Paesi Ue non fanno grandi acquisti dagli americani, ma Trump sembra voler invertire la rotta. Sarà il tempo degli accordi, ma sotto minacce di qualche altro aumento. Per esempio dazi o limiti di acquisto al petrolio, di cui l’Ue non può più fare a meno dopo la chiusura dei rubinetti dalla Russia. Da Davos, Ursula von der Leyen ha risposto che sarà necessario dialogare con gli Usa, ma l’Ue deve essere pronta a reagire in modo unitario alle minacce.

Gli Usa non metteranno più soldi nell’Oms

Una giornata al risparmio per la salute globale, tra sanità e accordi green. Il tycoon esce dall’Oms e risparmia. Gli Stati Uniti erano (e resteranno) i maggiori finanziatori dell’Organizzazione mondiale della sanità.

Le cifre del biennio 2022-2023 sono:

Bisogna sottolineare però che solo 218 milioni di dollari derivano dai contributi obbligatori calcolati in base al Pil, mentre il restante deriva da contributi volontari. Per questo gli Usa resteranno comunque i maggiori finanziatori dell’Oms, con il 15,6% della quota legata proprio ai volontari. Tra questi i maggiori sono Bill e Melinda Gates con la loro Fondazione, con 826,3 milioni di dollari.

I fondi sono usati per la gestione delle emergenze, come il Covid-19, ma anche per prevenzione e garanzia di accesso a servizi sanitari. L’impatto maggiore della decisione di Trump non sarà quindi economico, ma di immagine. Dopo il ritiro formale degli Stati Uniti, c’è il rischio di un effetto a catena con altri Paesi. Il danno maggiore sarebbe quello di una riduzione della cooperazione sanitaria internazionale, che oggi permette lo scambio di informazioni e innovazioni in campo medico.

Passo indietro sulla Global minum tax

Infine, il nuovo presidente degli Stati Uniti ha deciso di fare un regalo alle multinazionali stelle e strisce e ha firmato l’uscita dall’accordo per la tassazione globale. Noto come global minimum tax, questo accordo firmato nel 2021, culmine di anni di negoziati tra 140 Paesi, prevede un’aliquota minima del 15% alle grandi aziende in base ai ricavi generati nei diversi Paesi.

Secondo Trump, le aziende americane sarebbero state ingiustamente più colpite di altre e per questo ha anche chiesto al Segretario del Tesoro di preparare misure protettive contro i Paesi che impongono tasse extraterritoriali. Tra questi ci sono l’Italia, la Francia e la Spagna.

Il presidente Usa ha puntato il dito contro le digital tax, come quelle applicate a Google e Facebook. Anche in questo caso, la decisione Usa rischia di generare l’abbandono da parte di altri Paesi.

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