Non è una medaglia di cui andare fieri. Secondo i dati Eurostat, l’Italia si posiziona al terzo posto in Europa per il rischio di trasmissione della povertà tra generazioni, con un 34% della popolazione che segnala un pericolo concreto, contro il 20% di media nell’Unione Europea.
In Italia, la povertà non solo ha raggiunto livelli record, colpendo 5,7 milioni di persone, tra cui 1,3 milioni di minori, ma è anche un’eredità che si trasmette di generazione in generazione. Mentre altrove si trasmettono patrimoni, qui sembra quasi inevitabile ereditare le difficoltà economiche. Un riscatto sociale che, dati alla mano, appare sempre più lontano.
La povertà? Un fardello ereditario: un peso che passa di padre in figlio
Le difficoltà economiche sembrano destinate a perpetuarsi di generazione in generazione. La statistica è impietosa: chi è cresciuto in famiglie svantaggiate tende a trovarsi, da adulto, in condizioni finanziarie precarie. Un circolo vizioso che colpisce il 20% degli adulti europei tra i 25 e i 59 anni che, a 14 anni, vivevano in una situazione economica difficile. In Italia, il dato sale al 34%, segno di un’eredità che pesa sul futuro.
I fattori che spingono le famiglie verso la povertà sono molteplici e spesso intrecciati. L’abbandono scolastico precoce, la precarietà lavorativa in settori con basso valore aggiunto come i servizi e il commercio, la nascita di figli, l’affitto e la condizione di cittadinanza straniera: tutto questo contribuisce a mantenere la povertà come una costante tra le generazioni.
Italia sul podio, ma non per festeggiare
Con queste cifre, l’Italia si guadagna un poco invidiabile terzo posto in Europa, subito dopo Romania e Bulgaria. Dati che gettano un’ombra lunga sul presente e sul futuro economico del Paese. Eurostat, nella sua analisi, sottolinea che il 20% degli adulti a rischio viveva in famiglie che già lottavano con problemi finanziari durante l’adolescenza, mentre solo il 12% proviene da contesti più agiati.
Storicamente, quando l’ascensore sociale si blocca, le rivoluzioni scattano come un grilletto tirato al massimo. È successo nella Francia del 1789, quando il popolo, schiacciato dal peso di una nobiltà intoccabile, ha deciso di ribaltare il tavolo con la ghigliottina. La storia si è ripetuta in Russia nel 1917, dove l’impossibilità di uscire dalla miseria sotto il giogo zarista ha trasformato i contadini in ribelli e i lavoratori in rivoluzionari.
Non è stato diverso durante la Rivoluzione Industriale, dove le città europee e americane sono diventate il teatro di sanguinose battaglie operaie, nate dalla frustrazione di chi era costretto a lavorare come schiavo senza mai vedere la luce della risalita sociale. E nel 2010, le piazze della Primavera Araba si sono riempite di giovani stanchi di sentirsi bloccati in un eterno limbo senza speranza.
L’istruzione come barriera contro la povertà
Non è un caso che in Italia, dove solo il 67% dei diplomati e laureati riesce a trovare un impiego rispetto all’83% della media europea, il rischio di povertà sia così elevato. La mancanza di istruzione è infatti un fattore determinante: ben il 72% dei beneficiari del vecchio Reddito di cittadinanza non aveva nemmeno il diploma di scuola media, e molti neppure quello delle elementari.
L’abolizione del Reddito di cittadinanza da parte del governo e la sua sostituzione con l’Assegno di inclusione e il Supporto per la formazione hanno drasticamente ridotto le coperture, tagliando fuori chi vive in affitto o ha meno di 60 anni.
L’introduzione della social card, voluta dal ministro Francesco Lollobrigida, non ha raggiunto l’obiettivo prefissato: le risorse destinate sono arrivate a famiglie con un Isee doppio rispetto a quelle che avevano diritto al Reddito di cittadinanza o all’Assegno di inclusione. Una misura che parrebbe inefficace, quindi, in un contesto di crescente disagio.
Romania e Bulgaria: un quadro anche più nero
Se l’Italia ha poco da rallegrarsi, le cifre provenienti da Romania e Bulgaria disegnano uno scenario ancora più fosco. In Bulgaria, il 48,1% di chi aveva una situazione familiare difficile a 14 anni si trova ora in povertà. La Romania non è molto distante, con un 42,1%. Qui, il fenomeno della povertà sembra essere una realtà quasi inevitabile, mentre il Belpaese si ferma al 34% in questa statistica.
Danimarca: l’eccezione che conferma la regola
Tra i dati contrastanti, spicca la Danimarca come un’eccezione. Nel Paese scandinavo, chi ha avuto una famiglia in difficoltà economica durante l’adolescenza non si trova più spesso in situazioni di povertà rispetto a chi proviene da contesti finanziariamente stabili. Un divario minimo che si ripete anche in Slovenia e Finlandia, dove le percentuali restano sorprendentemente basse e simili.