Sembra assurdo e quasi anacronistico parlare ancora oggi di questione Meridionale, eppure il Mezzogiorno continua a svuotarsi, infatti, gli ultimi dati Istat sui giovani che hanno lasciato il Sud nell’ultimo anno non restituiscono una situazione rosea.
Non è retorica, ma c’è un problema di disparità ancora evidente, soprattutto se si considera il fatto che spesso chi va via lo fa perché non ha altra scelta. Lo dicono gli esperti, le ricerche lo confermano e le prospettive per il futuro non sembrano rincuorare.
Ma lasciamo che a parlare siano i numeri.
Indice
La condizione dei giovani in Italia
La condizione dei giovani in Italia è sempre più precaria. Nel Mezzogiorno, però, è ancora più complessa. Tant’è che gli esperti parlano ormai di “questione giovanile”, per indicare quella preoccupazione di fondo diventata sempre più complessa e evidente sul piano delle opportunità, che fa perno su problemi tangibili che riguardano la qualità del lavoro ma anche di protagonismo sociale più in generale, per chi vive al Sud. È un problema identitario, quindi, che vale sia per chi resta, sia per chi è andato via ma anche (e soprattutto) per chi sta ancora decidendo sul da farsi.
Come emerge dal focus Istat “Giovani del Mezzogiorno: l’incerta transizione all’età adulta”, che analizza la fase storica più recente, che si caratterizza soprattutto per il progressivo impoverimento demografico, giovani e adolescenti rischiano di divenire sempre più “merce rara”, specie nei territori del Sud. Non a caso, costituiscono un ambito di interesse specifico nelle politiche nazionali e comunitarie.
I giovani sono i veri protagonisti di quello che viene definito “inverno demografico”, ovvero diminuiscono mentre la popolazione aumenta (+3,3% dal 2002 a oggi). È un fenomeno attivo fin dai “baby-boomers” (nati fra il 1956- ’65), ma che ha subito un’accelerazione a partire dai cosiddetti “millennials” (nati fra il 1981-‘95), sostengono gli esperti.
Il Mezzogiorno si svuota sempre di più: i dati
Se si guardano i dati che riguardano i giovani del Mezzogiorno, dove entrano in gioco altri e diversi elementi di svantaggio, sia territoriale che generazionale, la situazione è allarmante. “Su questo piano, le tendenze in atto sembrano prefigurare criticità accentuate, che si traducono in rischi strutturali, ossia di tenuta demografica per ampie aree del Mezzogiorno”, si legge infatti nel documento Istat.
La gioventù è un’età di passaggio, ma purtroppo gli attuali giovani del Mezzogiorno hanno un percorso più “lungo e complicato” verso l’età adulta. Non a caso, in queste aree si dilatano notevolmente i tempi di uscita dalla casa dei genitori, di formazione di una famiglia propria, della prima procreazione. Nel Mezzogiorno il 71,5% dei 18-34enni nel 2022 vive in famiglia (64,3% nel Nord Italia; 49,4% nell’Ue a 27), con un forte aumento rispetto al 2001 (62,2%).
Tutte le regioni meridionali, a eccezione di Abruzzo (17%) e soprattutto Sardegna (15,8%), presentano attualmente una componente giovanile più cospicua della media nazionale. In generale però, in UE l’Italia presenta una tendenza negativa accentuata, e – soprattutto – nel 2021 diviene il Paese con la più bassa incidenza di 18-34enni sulla popolazione (17,5%), inferiore di circa due punti alla media Ue (19,6%). Casi similari sono la Grecia, la Spagna, il Portogallo, la Bulgaria, la Slovenia, ossia, contesti nazionali che – a parte il caso iberico – sono poco comparabili sul piano della struttura socio-economica.
Concentrandosi sul Mezzogiorno d’Italia – attualmente – si registra invece una riduzione strutturale del peso dei giovani a un livello mai sperimentato in passato. Questo, spiega la ricerca, non è altro che un sintomo primario delle difficoltà che caratterizzano la condizione giovanile in questi territori. Vuol dire che se, in generale, ci sono pochi giovani in Italia (rispetto alla media europea), al Sud la situazione è peggiore perché è conseguente a problemi legati a disoccupazione ed economia.
Quanti giovani hanno lasciato il Sud
Per capire meglio di cosa stiamo parlando, basta dare un’occhiata i numeri, che confermano una perdita accentuata di popolazione giovanile nel Mezzogiorno d’Italia.
Attualmente, la quota di giovani (18-34 anni) è maggiore nel Mezzogiorno (18,6%) rispetto al Centro-nord (16,9%), ma nel primo caso la flessione è molto severa (-28% dal 2002). Inoltre, si prevede che nel lungo periodo (2061) gli ultra-settantenni saranno il 30,7% della popolazione residente nel Mezzogiorno (18,5% nel Centro-nord). Questa situazione apre a un’altra questione complicata, ovvero la stabilità e la sostenibilità del sistema previdenziale italiano. Soprattutto nei casi in cui i giovani optano per un trasferimento all’estero, il problema a cui si va incontro è capire come e chi pagherà le pensioni in futuro, se la forza lavoro viene a mancare.
Inoltre, nelle nuove generazioni di giovani meridionali si rileva una progressiva estensione dei percorsi di studio. I cosiddetti “millennials” (nati fra il 1981 e il 1995) sono di gran lunga più istruiti, soprattutto per la visibile riduzione della componente con titoli inferiori al diploma (24,4%) ormai superata da quella terziaria (27,8%).
Secondi i dati Istat, negli ultimi anni è aumentata la propensione agli studi universitari, soprattutto nel Mezzogiorno, dove nell’a.a. 2021-22 si registrano:
- 58 immatricolati per 100 residenti con 19 anni (56 nel Centro-nord);
- 47 iscritti ogni 100 19-25enni (41 nel Centro-nord);
- 22 laureati (anno solare 2022; I e II ciclo) ogni 100 23-25enni (19).
Le immatricolazioni aumentano soprattutto nelle Regioni con alta disoccupazione e basso Pil pro-capite (fra il 2010 e il 2022: Sicilia +15,6 punti; Sardegna +13,6; Calabria +10,9; di contro: Lazio +8,4; Lombardia +5).
Perché è importante analizzare preparazione e formazione dei giovani meridionali? Perché anche i percorsi universitari spesso caratterizzati da una significativa “emigrazione studentesca”, sia all’iscrizione (il 28,5% dei meridionali si iscrive in atenei del Centro-nord), sia alla laurea (39,8% in atenei del Centro-nord), sia nel post-laurea (dopo 5 anni solo il 51% lavora nel Mezzogiorno). È un paradosso, ma nel medio-lungo periodo, ciò potrebbe alimentare una deprivazione ulteriore di capitale umano con competenze avanzate, indispensabile per il Mezzogiorno. Insomma, se i giovani lasciano il territorio è un problema anche economico e scatena tutta una serie di conseguenze che non si limitano a questioni etiche e morali, ma vanno oltre e minacciano la stabilità non solo di un territorio ma di un intero Paese.
La carenza di opportunità lavorative stabili e di buona qualità nel Mezzogiorno non è di certo una novità, ma la situazione fra i “millennials” peggiora. Il tasso di attività (20-34 anni), già basso nella generazione precedente (60,3%) si riduce ulteriormente (54,4%), come il tasso di occupazione (41,6%, dal 45,3%), mentre resta molto elevato quello di disoccupazione (23,6%; 9,1% nel Centro-nord).
Le regioni con la disoccupazione giovanile maggiore
Non stupisce che siano sempre di più i giovani in fase di formazione che se ne vanno. Chi vuole provare a fare carriera o avere un lavoro stabile, infatti, deve fare con una situazione sempre più preoccupante e difficile al Sud.
Non a caso, le Regioni caratterizzate da elevata disoccupazione e debole sistema produttivo presentano un accentuato impoverimento demografico di 18-34enni. La crescente indeterminatezza della “transizione lavorativa” influisce negativamente sulla qualità della vita dei giovani meridionali: oltre un giovane su due (51,5%) è insoddisfatto della situazione economica (40,7% nel Centro-nord), e un terzo la considera peggiorata (35,6%). Oltre un giovane meridionale su cinque (21,8%; 15% nel Centro-nord) si dice insicuro infine verso il proprio futuro.
L’insicurezza aumenta nelle regioni con basso Pil pro-capite e alta disoccupazione, infatti è minima in Piemonte (12,3%) e Veneto (14,9%) e massima in Sicilia (27,9%), Calabria (25,1), Sardegna (22%) e Puglia (21,6%).
Contestualmente, si osserva una dilazione dei tempi del matrimonio e della procreazione. L’età media del (primo) matrimonio resta più bassa nel Mezzogiorno rispetto al resto del Paese, soprattutto fra le spose (32 anni). Tuttavia, rispetto al passato si registra ovunque un aumento significativo dell’età media della procreazione, anche fra le giovani donne. E questo apre la strada ad un altro importante problema, ovvero il crollo demografico, che non si combatte solo con i bonus una tantum – come suggeriscono gli studi – ma andrebbe affrontato con misure strutturali e di sostegno alle giovani coppie, sempre meno incerte e preoccupate del futuro perché – molto spesso e di fatto – privi di mezzi di sostegno sicuri.
Non a caso, spiegano gli esperti, la permanenza protratta e tendenzialmente di massa nella famiglia d’origine può essere un sintomo delle difficoltà connesse alla transizione verso l’età adulta, derivanti da vincoli di contesto più che da scelte personali. Infatti, si delinea un nesso significativo con le opportunità di inserimento lavorativo. In altri termini, le convivenze protratte tendono a divenire più diffuse dove il tasso di disoccupazione è più elevato e più bassa la ricchezza prodotta, e viceversa.
C’è da dire che, dopo la forte riduzione del 2020 e la crescita contenuta nel 2021, nel 2022 il numero di occupati è aumentato in modo significativo (+545mila, +2,4%), attestandosi ai livelli del 2019. Tuttavia, i principali divari nel mercato del lavoro restano piuttosto marcati. Il tasso di occupazione generale nel 2022 è del 60% circa, più basso nella popolazione giovanile (15-34 anni: 43,7%) e fra le donne (51,1%). Nel Mezzogiorno risulta occupato il 46,7% delle forze di lavoro complessive, in leggera crescita ma con oltre 13 punti in meno della media nazionale, oltre 21 dal Nord e 18 dal Centro Italia. Il tasso di disoccupazione medio nazionale è dell’8,1%, aumenta visibilmente fra i giovani (14,4%) e nel Mezzogiorno – malgrado una certa riduzione – resta su valori molto elevati (14,3%). Divari territoriali significativi si riscontrano anche nel tasso di inattività, che peraltro nel 2022 fa registrare una riduzione particolarmente modesta, soprattutto nella ripartizione meridionale.
Molto ampia la quota di cosiddetti NEET (Not in Education, Employment or Training), ossia di giovani non inseriti in un percorso scolastico o formativo, ma neppure impegnati in un’attività lavorativa. In particolare, si è attestato il 43,1% dei 20-29enni inattivi del Mezzogiorno (poco meno di 478mila unità) contro i 26,5% del Centro-nord (circa 350mila giovani).
“La riduzione contestuale delle forze di lavoro e del tasso di occupazione – più accentuata in alcune regioni meridionali (Calabria, Campania, Sicilia), dove è particolarmente ampia la quota di NEET – sono indicative di difficoltà oggettive a collocarsi utilmente nel mercato, che si traducono tipicamente in una minore propensione a cercare lavoro”, viene specificato a tal proposito nel report Istat.
La “Questione Meridionale” ancora attuale
No, non è anacronistico o esagerato parlare oggi quindi di “Questione Meridionale”, perché la persistenza di tale dualismo territoriale – ampiamente noto – trova conferma nei parametri analizzati e esposti dall’Istat.
Infatti, quello che emerge è che le principali motivazioni attribuite alla non occupazione si differenziano in modo netto su base territoriale: mentre nel Mezzogiorno si sottolinea complessivamente una carenza di opportunità lavorative effettive e stabili, nel resto del Paese si richiamano ragioni transitorie e sostanzialmente reversibili, talvolta legate anche a un iter di rafforzamento professionale.
Nel periodo considerato dagli analisti, il tasso di disoccupazione tra i giovani, a livello nazionale, si attesta al 13,4%, in crescita ma comunque minore rispetto al Sud, dove la disoccupazione è particolarmente elevata (23,6%), soprattutto fra le giovani donne (27,4%; 15,1% in Italia), e nelle quattro principali regioni (Calabria 27,1%; Campania 25,2%; Sicilia 24%; Puglia 23,7%).
Inoltre, nel Mezzogiorno, accanto a una certa tendenza incrementale del lavoro subordinato rispetto a quello autonomo, si registra un aumento progressivo del lavoro atipico. Questo fenomeno è diffuso soprattutto nelle attuali generazioni di giovani, dove la quota di lavoro atipico è particolarmente ampia e ormai del tutto prevalente. In particolare in Calabria (67%), Sardegna (66,8%), Basilicata (63,3%) e Sicilia (60,3%). Si tratta spesso di contratti diversi da quella che poi in realtà è l’attività svolta (come le finte P. Iva o gli impiegati che lavorano molte più ore rispetto a quelle contrattualizzate). Infatti, c’è una crescita considerevole del lavoro part-time in queste dove, che fra i giovani meridionali occupati supera un terzo dei casi (36,5%) e che raramente è frutto di una scelta, derivando quasi sempre (74,9% nel Mezzogiorno) dalla carenza di alternative “a tempo pieno”.
Non è di certo una novità, ma i dati esaminati hanno consentito di sottolineare come la carenza di opportunità lavorative stabili (indicatori 10-12) e di buona qualità di quelle a disposizione (indicatori 13-15) possano essere un fattore esplicativo riguardo all’evoluzione della condizione delle nuove generazioni di giovani in queste aree. È emersa una relazione non trascurabile fra tassi di disoccupazione specifici e:
- impoverimento demografico;
- estensione critica delle transizioni familiari;
- prolungamento massivo dei percorsi di istruzione.
A ciò si associa una più diffusa insicurezza verso il proprio futuro, che interessa oltre un giovane meridionale su cinque (21,8%; 15% nel Centro-nord). La quota è più contenuta in Piemonte (12,3%) e Veneto (14,9%), più ampia in Calabria (25,1), Sicilia (27,9%), Sardegna (22%) e Puglia (21,6%), con una riproduzione piuttosto fedele dei divari territoriali riscontrati sui domini di interesse.
Tale atteggiamento, peraltro, appare condizionato in modo significativo dalle opportunità occupazionali e dai livelli di sviluppo locale: “Il tasso di insicurezza verso il futuro nei millennials è più elevato nei contesti regionali caratterizzati da maggiori squilibri nel mercato del lavoro e da un Pil pro-capite relativamente basso, e viceversa”, spiegano gli analisti.
In definitiva, nel Mezzogiorno la condizione giovanile appare caratterizzata da difficoltà strutturali nel trovare una collocazione nella società adulta. La disoccupazione giovanile di massa nel Mezzogiorno è un tipico esempio di uno squilibrio di questo genere, ma anche una questione di rilevanza primaria per le nuove generazioni.