Dopo le festività natalizie, a Montecitorio è in corso l’ultima fase frenetica per l’approvazione della legge di bilancio. La corsa contro il tempo è prioritaria al fine di completare l’approvazione della manovra entro la fine dell’anno, prevista senza intoppi.
Le richieste di modifica al testo presentate dalle opposizioni sono circa un migliaio (350 quelle del Partito Democratico, 320 del Movimento 5 Stelle, 254 di Alleanza Verdi e Sinistra, 70 circa per Azione e il resto suddivisi tra Italia Viva e il gruppo Misto), ma nessuna sarà votata: il testo resta “blindato” e sarà approvato quello concordato dalla maggioranza.
Il testo, già approvato dal Senato, rimarrà inalterato e i deputati dovranno solo ratificare le decisioni dei senatori. Oggi, giovedì 28 dicembre, il testo sarà discusso nell’Aula della Camera, con la necessità di concludere entro le 19 di venerdì 29 dicembre.
Le misure principali della legge di bilancio
La Legge di Bilancio presenta due misure di rilievo: la modifica dell’Irpef da quattro a tre aliquote e il ritorno di Quota 103 nel settore pensionistico. Queste due iniziative assorbono la metà dei 28 miliardi di euro stanziati dalla manovra.
La nuova Irpef presenta un passaggio da quattro a tre aliquote, con l’accorpamento dei primi due scaglioni (l’aliquota del 23% si applica sui redditi fino a 28.000 euro). L’effetto combinato di cuneo e Irpef, secondo il Tesoro, comporterà un aumento fino a 1.298 euro annui nelle buste paga dei dipendenti.
Nel settore pensionistico, si ritorna a Quota 103, mantenendo i requisiti di 62 anni d’età e 41 anni di contributi, ma con una penalizzazione: l’assegno sarà ricalcolato con il metodo contributivo e con un tetto massimo mensile di circa 2.250 euro. Si prevede che questa misura consentirà la pensione anticipata a circa 17.000 persone nel 2024.
Le misure in bilico: si ripensa la riforma fiscale?
Ci sono però delle misure ancora in bilico e che rischiano di non trovare spazio nella Manovra. Come la riforma fiscale; per confermare il mantenimento del taglio del cuneo anche nel 2025, con uno sconto sui contributi del 7% per redditi fino a 25.000 euro annui e del 6% fino alla soglia dei 35.000 euro, comportando un guadagno netto in busta paga di circa 100 euro al mese in media, il governo deve reperire 10 miliardi di euro senza ricorrere a nuovi deficit, come avvenuto nell’anno in corso. L’obiettivo dell’esecutivo è rendere l’intervento sulle buste paga strutturale e non più occasionale, come previsto nella Manovra. Lo stesso vale per l’accorpamento delle aliquote intermedie dell’Irpef, previsto dall’avvio del primo modulo della riforma fiscale. A partire dal 1° gennaio 2024, l’Irpef sarà:
- al 23% per i redditi fino a 28.000 euro
- al 35% per i redditi superiori a 28.000 euro e fino a 50.000 euro
- al 43% per i redditi che superano i 50.000 euro.
Oltre questa soglia, si annullano anche i vantaggi fiscali derivanti dalla rimodulazione delle aliquote. L’intervento sulle tasse, che si stima porterà a un risparmio medio di circa 600 euro all’anno per famiglia secondo Bankitakia, comporta un costo di circa 5 miliardi di euro, somma che il governo dovrà trovare entro il 2025.
Il dubbio del Superbonus
I bonus edilizi rappresentano i contributi più a rischio, soggetti a interventi decisi dal governo con una mano pesante. Già a partire dal 1° gennaio, il Superbonus subirà una riduzione al 70% per chi non ha completato il 100% degli interventi. Nonostante la maggioranza abbia spinto fino all’ultimo per una proroga, il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha posto il suo veto. Le stime più recenti indicano che entro la fine dell’anno, il costo del maxi-incentivo potrebbe raggiungere i 56 miliardi di euro, quasi 20 miliardi in più rispetto alle previsioni. Questo aumento è stato alimentato dalla frenetica corsa dei proprietari e delle imprese per concludere il maggior numero di lavori al fine di mantenere il diritto al contributo.
Anche gli altri bonus per la casa, confermati nella manovra, sono nel mirino, sebbene con qualche adattamento. Tra le ipotesi considerate, c’è quella di stabilire, a partire dal 2025, una soglia di reddito di 50.000 euro per poter beneficiare degli aiuti, con possibili eccezioni per i nuclei familiari numerosi.
Gli incentivi per le famiglie
In precario equilibrio sono anche gli incentivi messi in atto dal governo per sostenere famiglie e imprese nell’affrontare gli aumenti delle bollette di luce e gas registrati a partire dal 2022. Fino al 31 marzo, rimarranno attivi i bonus sociali sulle bollette, conservati dalle famiglie con un reddito non superiore a 9.530 euro, con possibilità di estensione fino a 30.000 euro per nuclei familiari con almeno 4 figli o con membri in condizioni di salute gravi. Questo bonus comporta un costo di circa 300 euro per trimestre. Tuttavia, la sua conferma nella seconda metà dell’anno non è garantita, poiché nei mesi recenti il costo delle materie prime è continuato a diminuire, riportando le tariffe quasi ai livelli dell’anno precedente.
È stata prorogata di altri tre mesi anche l’esenzione degli oneri di sistema sulle bollette del gas. Anche in questo caso, il governo dovrà decidere se prolungare gli incentivi o rivederli, tenendo conto delle fluttuazioni delle quotazioni. Da notare che lo slittamento dalla fine di gennaio a luglio della fine del mercato “tutelato”, in cui le tariffe sono stabilite dall’Autorità per l’energia, non è collegato alla manovra. Oltre questa scadenza, le ultime famiglie (circa una su tre) dovranno scegliere tra le offerte disponibili sul mercato libero.
Giorgetti interrogato sul Mes
Oltre a questa scadenza, c’è il rischio dell’esercizio provvisorio, uno scenario che il governo evita persino di considerare. Oggi Giancarlo Giorgetti è stato ascoltato in commissione in seguito alle polemiche che hanno portato al respingimento parlamentare della revisione del trattato sul Mes, il Fondo europeo Salva-Stati, con l’Italia come unico Paese a non averne firmato l’accordo. “Io non ho mai detto né in Parlamento, nè in Europa, nè in nessuna altra sede che l’Italia avrebbe ratificato il Mes – afferma il ministro – il Parlamento sovrano ha votato e ha votato come avevo anticipato in sede europea dove ho sempre detto che gran parte del Parlamento era contraria e l’esito sarebbe stato inevitabilmente questo”.
La discussione sul nuovo Patto di stabilità, prosegue Giorgetti, “è viziata dall’allucinazione psichedelica degli ultimi quattro anni, dove abbiamo pensato che lo scostamento si poteva fare e il debito si poteva fare. Il problema non è l’austerità, è la disciplina per chi fa politica di prendere decisioni e attuarle anche se sono impopolari”. Giorgetti osserva infine che un veto avrebbe portato a “tornare a regole molto peggiori di quelle che il governo si troverà nei prossimi mesi”.
Sul Superbonus “è il Parlamento a decidere, ma io so quale è il limite oltre il quale non si può andare, questa è la realtà dei numeri” e il Superbonus “è come una centrale nucleare che ancora non riusciamo a gestire”, prosegue il ministro dell’Economia. Anche il bonus al 70%, ha aggiunto, “vi assicuro che visto da fuori è tantissimo, dobbiamo uscire un po’ da questa allucinazione di questi anni in cui ci sembra tutto dovuto, anche perchè quando fai debito lo paghi e sono miliardi sottratti agli italiani alle famiglie italiane, di spesa per la previdenza”.