“Nonostante il nervosismo diffuso, i mercati emergenti potrebbero trarre vantaggio da una seconda presidenza Trump”. È quanto sostiene Christopher Preece, Macro Strategist & Investment Manager di Pictet Asset Management. “Nel lungo termine, la sua strategia globale rischia di indebolire il dollaro, il che rappresenterebbe una buona notizia per gli attivi dei mercati emergenti. Contemporaneamente, la scarsa dinamica del debito statunitense, la cui situazione probabilmente peggiorerà con la nuova amministrazione, contribuirà a gettare una luce positiva sul debito sovrano dei mercati emergenti – ha sottolineato l’analista –. Quasi sicuramente la volatilità aumenterà nel breve termine, soprattutto nei primi mesi dopo il suo insediamento, ed i disagi non saranno limitati solo ad alcuni Paesi. Se molti saranno pronti a fare concessioni di carattere commerciale, e non solo, per evitare i dazi promessi, altri, come ad esempio la Cina, probabilmente sopporteranno il peso di qualsiasi guerra commerciale scatenata da Trump”.
L’impatto sui mercati valutari
“Quanto più i dazi doganali saranno pesanti, tanto più è probabile un apprezzamento del dollaro, almeno inizialmente – ha affermato Preece –. Le svalutazioni delle valute altrove metteranno a dura prova gli stranieri che hanno contratto prestiti in dollari, in particolare quelli che risiedono nelle economie emergenti”. “È probabile che Trump sfrutterà i dazi doganali come arma negoziale per ottenere concessioni dai partner commerciali, ma è anche intenzionato a non far salire troppo il dollaro – ha aggiunto –. La volontà di riportare l’industria manifatturiera negli Stati Uniti non deve andare a discapito della loro competitività a livello internazionale. Il risultato potrebbe essere un primo passo verso un nuovo accordo di gestione valutaria progettato per indebolire il dollaro”.
Il ruolo del bilancio Usa
“Nonostante la sua promessa di rendere il governo più efficiente, Trump è però vincolato da ingenti voci di spesa governativa, come ad esempio quella per la previdenza sociale – ha fatto notare l’analista –. Al contempo, farà pressione per ridurre le tasse. In base alle previsioni del Congressional Budget Office, gli Stati Uniti hanno accumulato un debito pari al 100% del PIL e, se tutte le politiche di Trump saranno effettivamente realizzate, l’onere del deficit potrebbe crescere ulteriormente fino a raggiungere il 143%. Una crisi del debito statunitense sarebbe devastante per gli asset a livello mondiale, ma è uno scenario estremo che difficilmente si verificherà nel breve termine. La continua erosione della posizione debitoria degli Stati Uniti, che li rende sempre meno interessanti per i risparmiatori a livello globale, dovrebbe essere positiva per i mercati emergenti, che presentano sempre di più gli attributi chiave per attrarre gli investitori. Questo perché i mercati emergenti sono sempre più importanti in un contesto mondiale”.
Gli altri fattori di crescita
Secondo Preece, infine, le economie emergenti sono destinate a crescere anche grazie ad altri fattori: le loro istituzioni sono sempre più credibili, le banche centrali, ad esempio, hanno reagito più rapidamente all’impennata dell’inflazione globale e da allora si trovano in una posizione migliore per allentare la politica monetaria; le metriche e i fondamentali del debito appaiono migliori rispetto a quelli dei mercati sviluppati; infine, queste economie hanno un onere del debito da sostenere meno gravoso, tassi di crescita più rapidi e prospettive demografiche migliori. “Questi fattori stanno già iniziando a essere percepiti dagli investitori professionali, con i fondi sovrani che stanno orientando sempre più i loro portafogli verso i Paesi emergenti”, ha sottolineato.