Petrolio in rialzo grazie all’assist di Biden sull’Iran

Le quotazioni del greggio si sono riportate al di sopra dei 77 dollari per la qualità Brent del Mare del Nord mentre il greggio statunitense ha superato i 73 dollari al barile

Pubblicato: 4 Ottobre 2024 08:55

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Redazione

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Tornano a salire con decisione le quotazioni del petrolio, che si è riavvicinato molto agli 80 dollari al barile, rispondendo all’escalation di tensioni in Medioriente. Già da alcuni giorni le quotazioni del barile stanno crescendo sulle principali piazze di scambio internazionali, di riflesso all’avvio delle ostilità fra Israele ed Iran. E questo fattore sta sostenendo il recupero del greggio, che recentemente sembrava destinato a perdere ancora terreno per la mancanza di una domanda e l’offerta sovrabbondante dell’Opec+.

Le quotazioni del Brent oltre 77 dollari

Le quotazioni del Brent del Mare del Nord all’Intercontinental Exchange di Londra si sono portate a 77,44 dollari al barile, evidenziando su base settimanale un rialzo dell’8,5%. Anche il Light Sweet Crude Oil statunitense o WTI sul mercato del Nymex di New York è salito nella stessa proporzione, attestandosi a 73,52 dollari al barile, in aumento di quasi il 9% su base settimanale.

Stesso movimento per l’OPEC Basket, un indicatore di prezzo delle diverse qualità di greggio commercializzate dai membri del cartello, che è stato indicato ieri a 74,62 dollari per barile, in forte rialzo rispetto ai 71,34 USD/b del giorno precedente.

Le parole di Biden sui possibili target

A sostenere l’impennata delle quotazioni sono state le parole del Presidente americano Joe Biden, il quale ha confermato che sta “discutendo” con Israele la possibilità di un attacco agli impianti petroliferi iraniani, per minare una delle principali fonti di entrate del Paese mediorientale, dopo aver escluso un attacco ad obiettivi nucleari.

La risposta di Israele all’attacco missilistico di Teheran, infatti, è assolutamente scontata e già da alcuni giorni si parlava della possibilità di attaccare le infrastrutture petrolifere del Paese.

Preoccupa il rischio di blocco delle forniture

Per gli esperti di Generali Investment “il segnale più importante da osservare a breve termine è il rischio di interruzione della fornitura di petrolio”, che “avrebbe il potenziale di far aumentare significativamente i prezzi del petrolio a causa delle preoccupazioni sull’approvvigionamento“.

“Gli attacchi di ritorsione da parte di Israele – si ipotizza – potrebbero colpire i siti di produzione di petrolio iraniani. Gli Houthi pro-iraniani in Yemen potrebbero intensificare gli attacchi nel Mar Rosso, interrompendo ulteriormente il commercio globale e il trasporto di petrolio in particolare. E in caso estremo (rischio di coda), l’Iran potrebbe tentare di chiudere potenzialmente lo Stretto di Hormuz, attraverso il quale transitano circa 20 milioni di barili di petrolio e prodotti petroliferi (circa il 20% della fornitura globale)”.

Ma la domanda modesta può “temperare” lo shock

Una cosa è certa: il petrolio oggi parte da livelli molto più bassi di un anno fa, quando l’attacco di Hamas a Israele fece risalire il prezzo del petrolio, portandolo vicino ai 100 dollari. In questa occasione di parte da quotazioni attorno ai 70 dollari, che scontano la debolezza della domanda globale e, soprattutto, le difficoltà in cui versa l’economia cinese.

Non esclusa una nuova impennata dell’inflazione

La corsa delle quotazioni petrolifere, ovviamente, avrebbe effetti a catena sul livello generale dei prezzi, facendo nuovamente aumentare l’inflazione. E che ne sarebbe poi delle politiche “accomodanti” delle banche centrali? “L’aumento dei prezzi del petrolio e dell’energia potrebbe riaccendere le preoccupazioni sull’inflazione e rallentare l’ulteriore normalizzazione della politica monetaria. – sottolinea Thomas Hempell Head of Macro & Market Research di Generali Investments – Non sorprende che le recenti tensioni abbiano già fatto aumentare i prezzi del petrolio, estendendo il recupero iniziato dagli annunci di stimolo cinesi”.

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