Il 2023 sarà ricordato come l’anno delle crisi-lampo, ma si chiuderà meglio di come è iniziato, con un rally dei mercati, dopo la volatilità estrema degli ultimi mesi, grazie ad una Fed più dovish (colomba) ed alla promessa di una normalizzazione della politica monetaria. E’ quanto emerge da uno studio di Andrea Delitala, Head of Investment Advisory di Pictet Asset Management, secondo cui guardando avanti, all’andamento dell’economia su entrambe le sponde dell’Atlantico, sembra che le probabilità di recessione stiano sfumando (anche se non è scongiurata in Europa), mentre il processo di disinflazione è decisamente in atto e le prospettive sembrano essere di una ritrovata normalità. Anche sui mercati.
Il punto sul ciclo economico
Guardando al ciclo economico, l’analista nota nota che gli Sati Uniti hanno confermato una buona capacità di assorbire i forti contraccolpi di policy, ma il processo di disinflazione sembra meno in discussione anche in Europa, dove nei mesi passati stava procedendo un po’ più a rilento.
Quanto alle prospettive macroeconomiche, l’Europa mostra una maggiore flessione, in bilico sulla soglia tra crescita e recessione. Recessione che non è del tutto fugata neppure per gli USA, dove il maggior slancio dell’economia post Covid era stato determinato da un eccesso di risparmio ormai in via di esaurimento. Per l’America il soft landing rimane lo scenario favorito.
Meno incertezza sul fronte dei prezzi: il processo di disinflazione prosegue in maniera convincente, in USA e in Europa, anche se rimane diversa la natura della composizione dell’inflazione nei due mercati. Negli Stati Uniti ormai si parla di inflazione sostanzialmente da soli servizi, mentre l’inflazione da beni è rientrata. In Europa invece, c’è una componente residua di inflazione da beni e, soprattutto, di inflazione alimentare.
Una Fed poco coerente alimenta attese di ribassi… forse troppo
C’è poi il nodo delle banche centrali. Fed e Bce hanno lasciato i tassi invariati anche nell’ultima riunione dell’anno, come previsto. Ma la Fed ha completamente capovolto la narrativa di un trimestre fa, stimando che il tasso di riferimento scenderà al 4,6% per dicembre 2024 (dal 5,1% segnalato alla riunione de settembre) e suggerendo dunque tre tagli nel 2024. In qualche modo la Fed ha assecondato la tendenza di mercato, in cui da un po’ si parla del prossimo ciclo di ribassi.
Il cambio di marcia, giustificato nella sostanza anche se non nei modi, ha alimentato la volatilità del mercato che si è posizionato ben oltre la Fed, con attese di 6 tagli per il 2024: questo percorso dei tassi di politica monetaria pare ora un po’ ottimistico a meno che non ricompaia il rischio di recessione.
Il tantrum dei bond: l’anomalia è rientrata
Per capire come si muoveranno bond e azioni nel prossimo trimestre occorre comprendere cosa sia successo sui mercati negli ultimi mesi. L’analista di Pictet parte dal cosiddetto “tantrum dei bond”, un eccesso dell’obbligazionario, che ha visto salite i rendimenti da 3 a 10 anni molto oltre il livello di neutralità di lungo periodo, ed ha finito per contagiare anche l’azionario, che ha registrato un importante rally.
Il tantrum ha poco a che fare non con la politica monetaria immediata, con le aspettative d’inflazione o con movimenti nel premio di rischio dell’emittente Tesoro USA; si tratta quindi di una dinamica dei tassi reali essenzialmente dovuta ad un valore residuo (nella scomposizione dei rendimenti) detto Term Premium, cioè di quel rendimento in eccesso che l’investitore chiede per acquistare il titolo a lunga scadenza, che ha natura transitoria ed è da attribuire al panico del mercato.
Azionario: le prospettive sono interessanti
Quello che è successo nell’ultima parte dell’anno, anche sul fronte azionario, è di fatto gravitato tutto intorno all’obbligazionario. A inizio anno i bond avevano rendimenti reali in salita, senza che questo disturbasse la buona performance azionaria, trainata dalla tecnologia in USA, con prezzi in salita a parità di earnings. Successivamente l’accelerazione nella salita dei rendimenti obbligazionari – non giustificata da fondamentali, ma dal term premium – è stata la spina nel fianco finanziaria che ha contagiato l’azionario. Ora che il tantrum dei bond sembra rientrato, si è innescato un rally azionario consequenziale. In questo senso il rally di fine anno è diverso dal solito, perché si tratta di un fenomeno guidato dalla normalizzazione dell’anomalia sui bond.
Per l’analista di Pictet il momento è propizio sul fronte dei portafogli per prendere profitto sull’obbligazionario e stare in attesa sull’azionario. Il mercato ha ancora prospettive abbastanza buone per gli utili americani, che però sono limitate a un gruppo molto concentrato di aziende.
Le nostre previsioni sulla crescita utili per l’anno prossimo – sottolinea Delitala – sono più caute rispetto a quelle del mercato: per l’America stimiamo un 2% e per l’Europa un 3,6%, contro rispettivamente l’11% per l’America e il 5,7% per l’Europa previsti dal mercato. La partita si giocherà sui fondamentali. Il rapporto prezzo/utili del titolo mediano dell’S&P500 non è lontano dalla media storica; le società protagoniste di quest’anno, le magnifiche sette, hanno valutazioni elevate cui si accompagna una capacità di generare utili superiore a quella del mercato. Si tratterà di capire fin dove andrà avanti la capacità di innovare e mantenere la redditività di queste società sulla frontiera tecnologica.