È atteso un vero e proprio boom per il mercato del rame, materia prima fondamentale per l’industria e per la transizione energetica, che vedrà crescere la domanda da qui al 2035, accentuando il gap già previsto entro il 2025. La transizione green infatti accentuerà il deficit del mercato, che deve fare i conti non tanto con le riserve, che sono abbondanti, quanto con gli investimenti richiesti dalla maggiore estrazione. E senza contare che la scarsità d’acqua è uno dei limiti (ambientale e sociale) alla produzione di rame. E’ quanto emerge da un report di J Safra Sarasin, banca privata svizzera con sede a Basilea, intitolato “L’età del rame – La transizione energetica ha bisogno di più metalli e minerali”.
Prezzi attesi in aumento
“Prevediamo ulteriori pressioni al rialzo dei prezzi e presentiamo le opzioni per trarne vantaggio”, spiega l’analista Frank Hartel, Head Asset Allocation di J. Safra Sarasin, aggiungendo “la transizione energetica richiede investimenti significativi nelle infrastrutture, poiché la produzione di elettricità, ma anche il riscaldamento e la mobilità dipendono ancora in larga misura dai combustibili fossili“.
“Il rame è particolarmente cruciale in quasi tutte queste tecnologie. Per quanto riguarda la produzione di elettricità – sottolinea l’esperto – è necessario investire in modo significativo nei pannelli solari e nelle turbine eoliche, che dipendono fortemente dal rame e da altri minerali per la loro produzione. La domanda chiave è se l’aumento della domanda derivante dalla transizione energetica verde possa essere soddisfatto da un equivalente aumento dell’offerta”.
Produzione fortemente concentrata
L’offerta di minerale di rame è ancora fortemente concentrata: secondo gli ultimi dati disponibili del Servizio Geologico degli Stati Uniti, Cile (24%) e Perù (10%) dominano nettamente l’estrazione del rame con oltre un terzo della produzione mineraria globale 2023, seguiti da Congo (10%) e Cina (9%). I primi quattro produttori rappresentano più della metà dell’estrazione globale.
Quanto alla raffinazione del rame, la Cina è il Paese dominante con il 42% della produzione di raffineria, seguita ancora dal Cile (8%), dal Congo (7%) e dal Giappone (6%). Anche in questo caso, i primi quattro rappresentano quasi i due terzi della produzione globale di raffinerie.
Riserve ampie e non sfruttate
Il mercato del rame non dovrebbe essere in tensione, poiché nel sottosuolo vi sono ampie riserve con grandi risorse non sfruttate. Le maggiori si trovano in Cile (21%), Australia (11%) e Perù (9%), che insieme contano per oltre il 40% delle riserve globali.
I limiti
Oggi le operazioni di produzione e lavorazione del rame sono altamente concentrate in un piccolo numero di Paesi, e quindi il sistema è vulnerabile all’instabilità ambientale e politica, ai rischi geopolitici e alle possibili restrizioni alle esportazioni.
Fra i fattori ambientali va citata la scarsità d’acqua, cui si aggiungono una serie di rischi climatici, tra cui il caldo estremo o le inondazioni, che rappresentano una sfida per garantire forniture affidabili e sostenibili.
Ma la scarsità d’acqua non è solo un problema ambientale, crea anche tensioni sociali, poiché mette in competizione la produzione mineraria e l’approvvigionamento di acqua per la popolazione indigena. Le tensioni sociali hanno quindi un impatto diretto sulla sicurezza delle forniture di rame, come dimostrato dalle serrate verificatesi in alcuni Paesi produttori quest’anno.
Il ruolo del riciclo
L’economia circolare potrebbe contribuire ad affrontare l’aumento della domanda di metalli. Il riciclaggio di rame infatti può svolgere un ruolo importante nell’alleggerire l’onere dell’approvvigionamento primario di materie prime in un momento in cui la domanda inizia ad aumentare. Ad esempio, si prevede che la quantità di batterie EV esaurite che giungono alla fine del loro primo ciclo di vita aumenterà in modo significativo dopo il 2030, offrendo il potenziale per ridurre la pressione sugli investimenti per l’approvvigionamento primario.