Dove vanno i soldi dello Stato? Ecco come li ha spesi il governo

Quando si parla di soldi pubblici è importante capire per cosa e come questi sono spesi dal governo: ecco le stime del MEF sul fabbisogno dello Stato italiano

Pubblicato: 2 Marzo 2023 10:04

Federica Petrucci

Editor esperta di economia e attualità

Laureata in Scienze Politiche presso l'Università di Palermo e Consulente del Lavoro abilitato.

Quando si parla di conti pubblici e di oneri a carico dello Stato, non è solo importante sapere quanti soldi vengono spesi dal governo, ma bisogna anche guardare – con occhio critico possibilmente – come e per cosa questi vengono impiegati. Nel fare questa analisi, oggi, ci vengono in auto le ultime stime del MEF, che ha reso noto il fabbisogno del settore statale nel mese di febbraio 2023.

Dove vanno a finire i soldi dello Stato

Da un punto di vista economico, il denaro ha tre funzioni, ovvero è: unità di conto, riserva di valore e mezzo di scambio.

Il modo in cui lo Stato decidi di impiegare le sue riserve monetarie, quindi, ci riguardare direttamente. Le decisioni sul bilancio e in generale i conti statali influenzano la qualità della vita dei lavoratori, delle famiglie e delle comunità in tutta la nazione: decidono il destino di strade, scuole, assistenza sanitaria, trasporti pubblici e molto altro.

È chiaro che il modo in cui i fondi dell’Erario vengono impiegati dipendano soprattutto dal governo in carica. Con la presentazione della legge di bilancio, infatti, l’esecutivo  mostra quelle che sono le sue priorità (qui, per esempio, i punti cardine della finanziaria 2023: ecco su cosa Meloni ha deciso di non investire).

Quindi, i finanziamenti statali servono per esempio pagare insegnanti, dipendenti pubblici, garantire forniture scolastiche e sussidi a lavoratori, bambini e famiglie che altrimenti si troverebbero in una situazione di disagio, ma vengono utilizzati anche per un’ampia varietà di altri servizi, come trasporti, pensioni, cure sanitarie, assistenza alle persone e alle famiglie a basso reddito, sviluppo economico, protezione ambientale, polizia di Stato, parchi e attività ricreative e aiuti ai governi locali.

Queste sono solo alcune voci di spesa, ma bisogna specificare di nuovo che non tutte hanno la stessa priorità e spesso è l’agenda politica a decidere tempi e importi da destinare ai diversi settori. E a tal proposito, per cosa e come il governo Meloni ha speso più soldi pubblici quest’anno? 

Le stime MEF: ecco dove l’Esecutivo di Meloni ha investito di più

È stato il Ministero dell’Economia e delle Finanze, mercoledì 1 marzo, a fornire la stima del fabbisogno del settore statale relativa al mese di febbraio 2023: pari a 14,7 miliardi di euro nello specifico (qui il link diretto per consultare il documento).

Confrontando la cifra con l’anno precedente, a confronto con il corrispondente mese del 2022 (che si era chiuso con un fabbisogno di circa 4,3 miliardi), il saldo quest’anno risente del calo degli incassi dovuto quasi esclusivamente a quelli fiscali introitati tramite F24, a causa sia delle maggiori compensazioni per agevolazioni, sia della flessione dei versamenti per le imposte sostitutive sui redditi da capitale e sulle plusvalenze e sul valore attivo dei fondi pensione. Il versamento dei premi all’INAIL, che ha scadenza a febbraio (qui le date), è invece in linea con quello dello scorso anno.

Dal lato dei pagamenti, specifica il MEF: “Si registra un aumento dovuto, principalmente, all’erogazione dell’assegno unico e alla rivalutazione delle pensioni, e ai maggiori esborsi delle Amministrazioni Centrali, cui contribuisce il trasferimento alla CSEA per il contenimento dei prezzi nel settore elettrico e del gas previsto dall’ultima legge di bilancio e il trasferimento a INVITALIA per l’erogazione del prestito ponte alle Acciaierie Italia S.p.A. (ex ILVA)”. Inoltre, tale aumento è stato “parzialmente compensato dai minori versamenti al bilancio comunitario”, poiché il versamento della rata mensile è slittato ai primi di marzo.

A pesare sui conti statali, quindi, sono principalmente esborsi e caro energia.

I soldi che arrivano dall’Europa

Sembra passato tantissimo tempo da quando Meloni si dichiarava, pubblicamente e apertamente, anti europeista. Una volta diventata Premier, infatti, i suoi toni si sono subito placati e molte posizioni sono state riviste (è successo con le accise: dopo essersi scagliata contro le stesse a dopo aver sostenuto che era necessario eliminarle, arrivata al governo ha dovuto invece bloccare lo sconto, perché costretta a fare i conti con la coperta corta dei conti pubblici: ve ne avevamo parlato qui). 

Durante la campagna elettorale, quello che preoccupava era proprio il presunto nazionalismo aggressivo di Forza Italia. Considerate le posizione prese in passato, infatti, si temeva che Giorgia Meloni si sarebbe trovata in costante conflitto con la Commissione Europea. Eppure, come abbiamo visto subito dopo la sua elezione, neanche questo è successo. A gennaio, infatti, la presidente Ue Ursula von der Leyen è arrivata a Roma per incontrare la Presidente e l’incontro è stato assolutamente cordiale. Il motivo di quest’altro cambio di rotta, probabilmente, è da ricercare nei soldi che l’Ue ha stanziato per l’Italia: quasi 200 miliardi di euro in sovvenzioni e prestiti dal suo fondo di recupero Covid da 800 miliardi di euro – a noi sono arrivati molti più soldi di qualsiasi altro Stato Membro.

Si tratta di fondi attivare in più fasi fino al 2026 ma a condizione di un numero elevato delle riforme strutturali.

Ora, considerando che il debito pubblico italiano in percentuale del PIL – 147 per cento – è uno dei più alti del pianeta, che il tasso di fertilità del Paese è uno dei più bassi, mentre il tasso di disoccupazione giovanile è tra i più alti in Europa, a fronte invece di una popolazione sempre più anziana (infatti abbiamo un problema con le pensioni, e ve ne abbiamo parlato qui), ovviamente questa iniezione di liquidità da Bruxelles è di importanza esistenziale per l’Italia, ma dirlo prima delle elezioni, di essere cioè pro Europa, non avrebbe attirano le simpatie (e i voti) di quella grossa fetta di elettorato anti europeista che invece ha sostenuto FI a novembre scorso.

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