“Facevano sempre così”: questa frase che sta rimbalzando ovunque, dalla tv ai giornali ai social, sembra occupare tutto lo spazio della narrazione attorno alla strage di Brandizzo, dove nella serata del 30 agosto hanno perso la vita 5 operai della Sigifer di Borgo Vercelli, a lavoro sui binari. Ieri (lunedì 4 settembre, ndr) a Vercelli ha sfilato un corteo per ricordare Kevin Laganà, 22 anni, Michael Zanera, 34 anni, Giuseppe Sorvillo, 43 anni, Giuseppe Aversa, 49 anni, e Saverio Giuseppe Lombardo, 52 anni.
Il disastro ferroviario sarebbe stato causato da quella che è stata definita una “prassi” comune: tutti – o quasi – iniziavano i lavori prima, per fare più in fretta, per evitare alle imprese appaltatrici di incappare in pesanti penali. Perché le operazioni di manutenzione si fanno solo quando non causano disagi ai passeggeri, cioè la sera, dopo le 22:00, e nei weekend. Ma visto che il contratto dei lavoratori delle ferrovie prevede solo due turni notturni a settimana, questa regola viene ripetutamente bypassata attraverso la chiamata volontaria dei lavoratori.
“Basta ipocrisia – tuona il segretario nazionale della Cgil Maurizio Landini alla guida del corteo silenzioso di 2mila persone, dove hanno sfilato anche i familiari delle vittime, chiedendo giustizia -. Negli ultimi 15-20 anni stiamo parlando di quasi 20mila morti sul lavoro, metà Vercelli praticamente. Tutto ciò che è stato fatto fino adesso sono chiacchiere. La logica che è passata in questi anni è la logica del mercato e del profitto”. Basta ragionare sempre in termini di emergenza, servono azioni strutturali. “Quel che sta avvenendo ci porta la necessità di ripensare il sistema della manutenzione che è da rivedere, pensiamo alle autostrade e ai cantieri. Abbiamo bisogno di spendere miliardi. Bisogna cancellare la legge folle che il governo ha fatto per liberalizzare il subappalto, serve una procura nazionale per la sicurezza”.
La teste chiave: la dipendente che ha detto 3 volte “no”
Intanto, è stata sentita in Procura a Ivrea quella che viene considerata la teste chiave dell’inchiesta, l’impiegata delle Ferrovie dello Stato che la sera del 30 agosto era operativa alla sala controllo di Chivasso e che ha parlato, a più riprese, con Antonio Massa, il responsabile Rfi per la sicurezza del cantiere, indagato per disastro ferroviario e omicidio plurimo con dolo eventuale.
Si tratta di una dipendente di 25 anni, che si trovava al telefono con Massa proprio nel momento dello schianto del treno merci proveniente da Alessandria che ha tranciato via i 5 colleghi. La stessa dipendente che, secondo quanto emerso finora, avrebbe per ben tre volte negato a Massa la richiesta a procedere con i lavori sulla ferrovia. “L’ho detto per tre volte: i lavori non dovevano cominciare perché era previsto il passaggio di un treno”. Avvertimenti inascoltati, ma si faceva così, pare. Nessuno aspettava il via libera ufficiale, perché tanto “i treni non passano più”. E invece a Brandizzo di treno ne doveva passare ancora uno quella sera.
Anche il capocantiere, Andrea Girardin Gibin, di 52 anni, risulta indagato con la stessa ipotesi di reati di Massa. Secondo l’accusa, Gibin sarebbe responsabile di aver fatto scendere i suoi operai sui binari senza prima ottenere il foglio di nulla osta necessario. Massa avrebbe invece ignorato gli ordini contenuti nelle telefonate quella sera con la centrale di Chivasso.
Una pericolosissima “prassi”: come si lavora sui binari
Le pm Valentina Bossi e Giulia Nicodemo hanno intanto chiamato a testimoniare l’ex operaio della Sigifer di Borgo Vercelli, Antonio Veneziano, che ha raccontato proprio come fosse “frequente” avviare i lavori in anticipo, “specialmente quando sapevamo che un treno era in ritardo. In molte occasioni in cui ho lavorato lì (alla Sigifer, ndr), quando sapevamo che un treno era in ritardo, anticipavamo l’inizio del lavoro”.
In pratica, quando dovevano effettuare una regolazione, come il restringimento del binario, che richiedeva l’intervento di un convoglio previsto in orari non corretti, iniziavano i lavori. “Svitavamo i chiavardini, che sono i dispositivi di fissaggio delle rotaie alle traversine in legno. Successivamente, poco prima del passaggio dei convogli, venivamo rimossi dalla traccia. Solitamente, eravamo sei o sette persone in ogni gruppo, ma in queste situazioni c’era sempre qualcuno che sorvegliava la situazione. Tuttavia, nella tragica notte recente, la situazione è stata diversa, poiché tutti erano sulla massicciata”. Nessuno a dare l’allarme del treno in arrivo, insomma, nessuno che potesse avvisare, ufficiosamente, i colleghi chini sui binari
Anche gli lavoratori che stanno rilasciando via via dichiarazioni e testimonianze confermano questa “prassi”: “Sappiamo che si inizia a lavorare quando il capo ci dice verbalmente che possiamo farlo, e questo avviene non quando arriva un documento formale, ma quando i treni hanno cessato di passare. Questo è un comportamento diffuso tra tutti noi”.
Naturalmente ora c’è da capire se i dirigenti di Rete Ferroviaria Italiana fossero erano al corrente di questa pratica. Secondo il contratto, i lavoratori devono garantire all’azienda un massimo di due notti settimanali di lavoro notturno, e eventuali terze notti devono essere concordate tra le parti (rsu e azienda). Inoltre, non possono essere programmate più di dieci notti al mese.
Ma – denuncia anche la Filt Cgil – questa norma viene costantemente aggirata attraverso la chiamata volontaria. Nel caso di lavori notturni, si inizia alle 8 del mattino e si riprende alle 13, per poi continuare alle 22, violando la legge che richiede un minimo di 11 ore di riposo tra un turno e l’altro. Per non parlare dei continui “errori” denunciati da più parti, attribuibili al “gioco degli appalti” che sempre più spesso – dati alla mano – rende il lavoro non solo precario, ma pericoloso.
Oggi in commissioni riunite Trasporti e Lavoro della Camera sono previste le audizioni sulle condizioni di sicurezza dei lavoratori nel settore ferroviario: prima Rfi con l’ad Strisciuglio, poi i sindacati.