Quando, lo scorso 22 luglio, era stato raggiunto il tanto sospirato accordo sul grano sotto l’egida Onu in Turchia, il mondo sembrava essersi scrollato di dosso parte del terribile fardello della guerra in Ucraina. Le tensioni sembrano avviate alla de-escalation, tanto più che il Cremlino si era dimostrato nei fatti (oltre che nelle parole) sensibile alla questione della crisi alimentare provocata dal blocco dell’export di cereali dai porti occupati nel Mar Nero.
Ma la nebbia della guerra, per dirla alla Dostoevskij, non mostra mai la realtà nella sua chiarezza. La Russia ha infatti sospeso a tempo indeterminato la sua partecipazione all’intesa, ottenuta dopo otto sanguinosi mesi di combattimenti ed entrata in vigore il 1° agosto. Mettendo di nuovo in stallo le decine di milioni di tonnellate di grano bloccate per cinque mesi nei porti ucraini a causa del conflitto.
Perché Putin ha sospeso l’accordo sul grano
La decisione di Mosca è stata definita “necessaria” dal ministero della Difesa, considerato “l’attacco terroristico” da parte di Kiev alla baia di Sebastopoli. In quello che è storicamente il porto più importante della penisola di Crimea – e probabilmente dell’intero Mar Nero – la Russia ha denunciato un “massiccio” attacco con droni contro le proprie navi, che sarebbe stato condotto dagli ucraini con l’assistenza del Regno Unito.
Londra e Kiev, da parte loro, hanno respinto le accuse, rinfacciando ai russi di aver utilizzato un “falso pretesto” per tornare a ricattare il mondo agitando lo spettro della crisi alimentare. Ma al Cremlino poco importa, poiché sostiene che l’attacco è stato sferrato proprio contro le navi “coinvolte nel garantire la sicurezza del grano”. Con l’aggravante della complicità di un Paese Nato, la Gran Bretagna, che avrebbe contribuito alla preparazione con i suoi specialisti di stanza nell’oblast di Mykolaiv. E che, per giunta, sarebbe implicata persino nei sabotaggi al gasdotto Nord Stream (di cui avevamo parlato qui). La motivazione ufficiale dell’ufficio di Vladimir Putin è, come spesso accade, formale: “La parte russa non può più garantire la sicurezza delle navi civili che partecipano all’iniziativa”.
Cosa succede ora?
Al fine di dimostrare la sua “buona fede”, scevra da intenti di escalation o propaganda, sui radi in Crimea Mosca ha chiesto la convocazione del Consiglio di sicurezza dell’Onu. E proprio da Palazzo di Vetro e da Ankara sono partiti subito i contatti per convincere i russi a ripensarci. Rispetto alle esplosioni in Crimea, sia Kiev sia Londra suggeriscono che si sia trattato di un “incidente di Gleiwitz”, alimentato ad arte per sfidare nuovamente la comunità internazionale e per mascherare gli insuccessi dell’invasione, frenata dalla controffensiva ucraina (ne avevamo parlato qui).
Sono giorni che la Russia parla di una bomba sporca (qui abbiamo spiegato cos’è e quanto è pericolosa), alimentando così nuovamente i timori di una guerra nucleare, nelle mani degli ucraini e (ancora una volta) della partecipazione del Regno Unito nella sua realizzazione attraverso la vendita di materiale. L’eventualità di far esplodere una bomba sporca, comprendente materiale radioattivo, comporterebbe il rischio concreto di allargare il conflitto. Sono diversi gli esperti che temono un attacco falso da parte russa per giustificare una risposta molto più violenta di quelle già mostrate.
Versione russa contro versione ucraina (e occidentale)
“Avevamo avvertito dei piani della Russia volti a rovinare lo sblocco dei cereali del Mar Nero. Ora Mosca usa un falso pretesto per bloccare il corridoio del grano”, ha sottolineato il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba. “Bloccare il corridoio del grano significa togliere cibo a milioni di persone in povertà. Anche questo significa macchiarsi di gravi azioni contro l’umanità. Mi auguro che la Russia riveda la sua posizione”, ha invece affermato il titolare della Farnesina Antonio Tajani.
Kiev, in particolare, sulle esplosioni a Sebastopoli ha evocato una “negligenza” dei russi o anomalie alle loro difese antiaeree, che potrebbero aver provocato le detonazioni. Ma è un fatto che la Crimea, che nei primi mesi di guerra sembrava irraggiungibile, nelle ultime settimane è diventata bersaglio di attacchi sempre più frequenti. A dimostrazione che gli ucraini, almeno finora, vogliono ancora provare a liberare dal dominio russo l’intero territorio nazionale così come era definito dai confini legittimi prima del 2014.
L’attacco nella baia di Sebastopoli
I raid nella baia di Sebastopoli sono iniziati fin dalle prime ore del 29 ottobre, ha riferito il governatore della penisola annessa alla Russia nel 2014, Mikhail Razvozhaev, che ha definito senza mezze misure l’attacco delle forze armate ucraine come “il più massiccio” dall’inizio del conflitto. La Difesa russa, in seguito, ha spiegato che il nemico ha preso di mira le navi della flotta del Mar Nero con “nove droni e sette veicoli marini autonomi senza pilota”, e “tutti gli obiettivi aerei sono stati distrutti”. Soltanto una dragamine, la Ivan Golubets, avrebbe subito “lievi danni”. È andata peggio ad altre quattro navi russe, tra le quali spicca la fregata Admiral Makarov, che ha preso il posto del Moskva (affondato dall’Ucraina e doloroso simbolo dei fallimenti russi nell’operazione militare speciale) come ammiraglia della Flotta del Mar Nero.
Il drone navale, delle dimensioni di un kayak, è apparso in due video pubblicati da Rob Lee, fellow del Foreign Policy Research Institute. Secondo gli esperti, sarebbe di fattura ucraina e sarebbe alimentato da un solo motore, ma molto potente e in grado di raggiungere grandi velocità. Il drone potrebbe essere destinato a esplodere in prossimità di una nave nemica.
Cosa prevede(va) l’accordo sul grano
La decisione russa ha gettato di nuovo nel panico gran parte della comunità internazionale, a partire dalle Nazioni Unite, rinnovando l’allarme per l’approvvigionamento dei cereali soprattutto ai Paesi più poveri. Lo strappo sul grano ha riportato drammaticamente indietro le lancette ai primi mesi della guerra, quando decine di milioni di persone avevano iniziato a soffrire le conseguenze dei blocco dei porti ucraini (niente pace, ma grano e gas: cosa prevede l’asse Putin-Erdogan). In Africa con il rischio di carestie e in Occidente con l’impennata record dei prezzi dei generi alimentari (tutti i rincari del carrello della spesa).
L’accordo riguardava inizialmente il grano fermo nei silos dei porti ucraini di Odessa, Chernomorsk e Yuzhny. Tra le condizioni spiccava la discussa centralità di coordinamento garantita a Istanbul, da cui i rappresentanti di Russia, Ucraina e ovviamente Turchia e Onu avrebbero monitorato il passaggio dei cargo attraverso un tragitto libero dalle mine. Non erano pertanto previste scorte da parte di navi militari. L’Ucraina aveva poi imposto la condizione che non ci sarebbe stato sminamento, nel timore che la Russia ne potesse approfittare per colpire i porti nazionali, in primis Odessa.
L’accordo stabiliva anche la garanzia reciproca che non vi sarebbero stati attacchi alle navi né operazioni militari durante le attività di carico e trasporto. Un’ulteriore garanzia, richiesta e ottenuta questa volta dalla Russia, riguardava la sicurezza delle proprie navi che transitano dal Mar Nero per motivi commerciali e che veicolavano frumento e fertilizzanti. Condizione accettata dal Governo Zelensky, a patto però che le navi russe non avrebbero transitato attraverso le sue acque. Una settimana fa il presidente turco Erdogan aveva fatto sapere che l’intesa avrebbe potuto anche essere estesa.
L’intesa, datata 22 luglio, ha permesso finora l’export di 9 milioni di tonnellate di cereali e ha consentito di abbassare i prezzi mondiali di cereali. Scadrà formalmente a metà novembre e, fino ai fatti di Sebastopoli, le Nazioni Unite si erano dette “relativamente ottimistiche” sulla possibilità di una sua estensione. Dove quel “relativamente” ora fa tutta la differenza del mondo.