Gli Stati Uniti hanno ucciso Ayman al-Zawahiri, il leader di Al Qaeda, durante un attacco con i droni in Afghanistan. A rendere pubblica la notizia è stato lo stesso presidente americano Joe Biden. Secondo quanto riportato dal numero uno della Casa Bianca, a portare avanti l’operazione, nella giornata di domenica 31 luglio a Kabul, è stata la CIA. L’uomo era iscritto nella lista dei più ricercati dell’intelligence Usa. Aveva pianificato gli attacchi alle Torri Gemelli dell’11 settembre 2001 insieme a Osama bin Laden.
L’operazione della Cia per uccidere il successore di Osama bin Laden
Dal suo rifugio continuava a coordinare le azioni delle cellule sparse in tutto il mondo di Al Qaeda, di cui era divenuto leader in seguito alla morte di Osama bin Laden, nel 2011, invocando nuove stragi negli Stati Uniti. “Ora giustizia è stata fatta“, ha sottolineato Joe Biden dando la notizia della morte del nemico del criminale. Lo stesso presidente ha autorizzato l’attacco mirato dopo mesi di pianificazione.
Secondo quanto ricostruito, Ayman al-Zawahiri si trovava sul balcone della casa in cui si nascondeva, dove era solito sedersi anche per ore, quando è avvenuto l’attacco, portato avanti dai droni con due missili. Nell’abitazione era presenti altri membri della sua famiglia, ma nessuno di loro sarebbe rimasto ferito nell’operazione.
Per gli Usa si tratta di un evento epocale che, come ha sottolineato il presidente Joe Biden, chiude la stagione degli attentati contro il World Trade Center e servirà ad alleviare il dolore delle famiglie delle quasi 3 mila vittime del crollo delle Torri Gemelle, tra cui 344 vigili del fuoco. E di chiusura di un’epoca ha parlato proprio Andrew Ansbro, presidente dell’Associazione dei pompieri di New York.
Chi era Ayman al-Zawahiri, il capo di Al Qaeda: medico e terrorista
Nato in una famiglia benestante di medici e accademici il 19 giugno 1951 in Egitto, Ayman al-Zawahiri fu arrestato già all’età di 15 anni per la sua militanza nei Fratelli Musulmani. Studiò medicina all’Università del Cairo, laureandosi nel 1974 e specializzandosi quattro anni più tardi come chirurgo, iniziando poi a operare principalmente nei reparti di oculistica. Nonostante la prospettiva di una brillante carriera, continuò sempre a frequentare gli ambienti del radicalismo islamico.
Nel 1981 fu coinvolto nell’assassinio del presidente egiziano Anwar Sadat, reo di aver stipulato accordi di pace con Israele. Durante il processo per il golpe, Ayman al-Zawahiri fu identificato come il leader degli aggressori. In tribunale dichiarò: “Siamo musulmani che credono nella loro religione. Stiamo cercando di stabilire uno stato islamico e una società islamica”. Alla fine fu condannato solo per il possesso illegale di armi, con una sentenza di tre anni di carcere.
In prigione sarebbe stato torturato e picchiato regolarmente, e in seguito alle violenze subite si sarebbe avvicinato ulteriormente a posizioni radicali, diventando un estremista fanatico e violento. Nel 1985 tornò in libertà e si trasferì in Arabia Saudita, dunque in Pakistan e poi in Afghanistan. Lì iniziò a lavorare come medico durante la guerra contro i sovietici, e nel mentre costituì una fazione del gruppo della Jihad Islamica Egiziana, diventando il leader di tutto il movimento nel 1993.
Come capo dei terroristi portò avanti diversi attacchi contro Il Cairo, con almeno 1.200 vittime egiziane nella metà degli anni ’90. Gli Usa lo identificarono anche come il mandante del massacro di turisti avvenuto a Luxor nel 1997, in cui morirono 62 persone. Nel 1999 fu condannato a morte dalla Corte Militare egiziana, ma continuò a girare il mondo, nascondendosi e cercando fondi per altre imprese criminali.
L’incontro con Osama bin Laden sarebbe avvenuto proprio nella seconda metà degli anni ’90, nella città di Jalalabad. I jidahisti egiziani si affiliarono così ad Al Qaeda e ad altre organizzazioni di estremisti islamici, formando il Fronte islamico mondiale contro gli ebrei e i crociati.
La prima decisione ufficiale del gruppo fu, attraverso una fatwa, cioè un editto religioso, quella di permettere l’uccisione di civili americani. Nell’agosto del 1998, 223 persone furono uccise con attacchi simultanei alle ambasciate statunitensi di Kenya e Tanzania. Atti di violenza subito ricondotti ad Al Qaeda e a Osama bin Laden, anche attraverso le intercettazioni sul telefono di Ayman al-Zawahiri.
“Dite all’America che le loro bombe, le loro minacce e le loro aggressioni non ci spaventano. La guerra è appena iniziata“, dichiarò durante una telefonata a un giornalista pakistano. E infatti nel 2001, insieme al suo alleato, progettò gli attacchi alle Torri Gemelle. Continuò a essere la spalla destra dell’uomo più ricercato al mondo fino al 2011. In quell’anno Osama bin Laden fu ucciso in un attacco coordinato dagli Usa, e il medico egiziano divenne il nuovo leader di Al Qaeda. Mantenendo però un basso profilo e solo raramente inviando videomessaggi ai propri seguaci.
Cosa accadrà adesso ad Al Qaeda, tra talebani e Isis-K
Con la ritirata dei militari della Nato dall’Afghanistan, come sappiamo, l’anno scorso i talebani sono tornati al potere e nel Paese è stata instaurata la Sharia. Il gruppo, pur avendo le proprie radici nello stesso contesto sociale e culturale di Al Qaeda, ovvero la ritirata delle truppe sovietiche dall’Afghanistan, non è identificabile con l’organizzazione terroristica. Tuttavia tra talebani e Al Qaeda ci sono sempre stati buoni rapporti, e non sembra un caso che il leader del movimento si trovasse proprio a Kabul.
Al Qaeda sembrava essersi indebolita nel tempo, complice anche l’ascesa di nuovi movimenti ancora più violenti, come l’Isis, diventati più influenti a livello mondiale. Tuttavia con il nuovo governo talebano si erano diffusi timori su un suo ritorno, magari con nuovi attentati contro l’Occidente. È improbabile che dopo Ayman al-Zawahiri possa arrivare un nuovo leader altrettanto carismatico e in grado di mobilitare le masse per azioni violente fuori dal Paese.
Tuttavia c’è il rischio che gli affiliati possano confluire all’interno dell’Isis del Khorasan (Isis-K), il cui scopo è costituire un potente Califfato nelle “Terre del sole”, cioè il Tagikistan, l’Uzbekistan, il Turkmenistan, il Pakistan e, appunto, l’Afghanistan. Anche andando contro gli stessi talebani e gli ex compagni di Al Qaeda, considerati troppo deboli, anche a fronte della nuova sconfitta da parte degli Usa, con l’uccisione del successore di Osama bin Laden, l’ultimo uomo capace di unire gli estremisti e progettare attacchi dall’altra parte del mondo.