Giorgia Meloni indagata per peculato insieme ai suoi ministri, quali sono le accuse

Meloni e ministri indagati per peculato: un volo di Stato da 16mila euro per rimpatriare Almasri scatena un caso politico e scontro con la Corte dell'Aia

Pubblicato: 29 Gennaio 2025 09:34

Francesca Secci

Giornalista

Giornalista pubblicista con esperienza in redazioni rilevanti, è specializzata in economia, finanza e geopolitica.

Un aereo di Stato, un detenuto di lusso e un’indagine che scotta. Giorgia Meloni, insieme a Matteo Piantedosi, Carlo Nordio e Alfredo Mantovano, è finita sotto i riflettori della Procura di Roma per peculato e favoreggiamento. Il casus belli è stato il rimpatrio di Osama Njeem Almasri, comandante della prigione libica di Mittiga, accusato dalla Corte Penale Internazionale di torture, omicidi e stupri di migranti. Prelevato, con tutta probabilità, con un Falcon 900 del governo, l’uomo è stato spedito a Tripoli con un volo che oggi diventa il nodo dell’inchiesta.

Che il fascicolo aperto dalla Procura non porterà mai a un processo è quasi scontato: il governo ha i numeri per blindarsi in Parlamento. Ma l’iscrizione nel registro degli indagati di Meloni e dei suoi ministri è stata un atto obbligato per il procuratore Francesco Lo Voi, che non aveva altra scelta di fronte alla denuncia ricevuta. Secondo la normativa, doveva semplicemente iscrivere i nomi e inviare il procedimento n. 3924 del 2025 al tribunale dei ministri senza avviare alcuna indagine autonoma.

L’aereo blu e il conto a carico dei cittadini

Meloni ha provato a giocare d’anticipo con un video social, cercando di neutralizzare il colpo prima che esplodesse. Ma il vero problema non è l’indagine in sé: è il prezzo pagato con soldi pubblici per questo rimpatrio-lampo. Il volo di Stato, il costo dell’operazione e la gestione disinvolta delle risorse pubbliche sono il vero scivolone.

Secondo le stime, il Falcon 900 ha percorso circa 2.000 chilometri tra Torino e Tripoli, bruciando tra gli 11.765 e i 16.471 euro per un’operazione che rischia di trasformarsi in un boomerang politico ed economico. A questo si aggiungono i costi logistici, di sicurezza e le spese accessorie che potrebbero gonfiare ulteriormente il conto. Un lusso che ricade sulle spalle dei contribuenti.

Nell’incartamento inviato al tribunale dei ministri, oltre alla lettera di trasmissione, c’è solo l’esposto dell’avvocato Luigi Li Gotti, che ipotizza i reati di favoreggiamento personale e peculato. Gli indagati sono il capo del governo, i ministri della Giustizia e dell’Interno, accusati di aver deciso la scarcerazione e il rimpatrio di Almasri, mentre il sottosegretario Mantovano è coinvolto per la gestione del mezzo di trasporto.

La difesa di Giorgia Meloni

Meloni non arretra di un millimetro e trasforma l’inchiesta in un atto di guerra tra governo e magistratura, e questo ricorda gli anni dei dissidi tra Silvio Berlusconi e i giudici. “Io penso che valga ora quello che valeva ieri: non sono ricattabile, non mi faccio intimidire”, tuona la premier. Dipinge, insomma, questa vicenda come un attacco politico.

Ma nel fascicolo trasmesso al tribunale dei ministri mancano pezzi fondamentali. Non c’è traccia dell’ordinanza della Corte d’Appello di Roma, che rivela come il ministro della Giustizia fosse stato avvertito dell’arresto di Almasri già il 19 gennaio e avesse ricevuto un’altra segnalazione il giorno successivo. Eppure, non è stato fatto nulla per trattenerlo. Nessun approfondimento neppure sulle comunicazioni tra l’ambasciata italiana all’Aia e il governo, che avrebbero potuto chiarire chi sapeva cosa e quando.

Il tribunale dei ministri: una partita già chiusa?

Dal punto di vista giudiziario, la strada sembra segnata. La Procura di Roma ha trasmesso il fascicolo al tribunale dei ministri, ma per far partire un processo servirebbe il via libera del Parlamento. E con una maggioranza blindata, le possibilità che ciò accada sono pari a zero. L’inchiesta, dunque, potrebbe finire su un binario morto. Ma il problema politico rimane.

L’Italia sotto osservazione internazionale

Non è solo la magistratura a tenere gli occhi puntati sulla vicenda. Il braccio di ferro con la Corte Penale Internazionale rischia di avere ripercussioni diplomatiche. La decisione della Corte d’Appello di Roma di liberare Almasri ha già creato tensioni con l’Aia. L’accusa di favoreggiamento, lanciata da Li Gotti, potrebbe trasformarsi in un nuovo terreno di scontro tra la giustizia internazionale e il governo italiano.

E a complicare il quadro c’è la normativa che regola la cooperazione giudiziaria con la Corte dell’Aia. L’articolo 59 dello Statuto di Roma prevede che “lo Stato Parte che ha ricevuto una richiesta di fermo, o di arresto e di consegna prende immediatamente provvedimenti per fare arrestare la persona di cui trattasi, secondo la sua legislazione”. In altre parole, il governo italiano avrebbe dovuto eseguire il fermo senza esitazioni. E invece Almasri è stato rispedito in patria con un volo di Stato, provocando l’ira dei giudici internazionali.

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