Il Garante della Privacy blocca DeepSeek, stop all’Ai cinese: i motivi

Il Garante blocca DeepSeek per il trattamento opaco dei dati: Italia in prima linea, altri Paesi indagano. L'IA cinese rischia di finire fuori gioco

Pubblicato: 30 Gennaio 2025 21:06

Francesca Secci

Giornalista

Giornalista pubblicista con esperienza in redazioni rilevanti, è specializzata in economia, finanza e geopolitica.

Il Garante per la protezione dei dati ha spento DeepSeek, l’intelligenza artificiale cinese che ha provato a dribblare la normativa europea. Il blocco, immediato e senza tanti complimenti, è scattato dopo che la società ha risposto alla richiesta di chiarimenti con un’alzata di spalle.

Secondo l’Autorità, l’azienda si è trincerata dietro un semplice “noi in Italia non operiamo”, come se bastasse ignorare la cartina geografica per evitare le regole. Ma non è andata così. Già nella giornata di mercoledì, l’app di DeepSeek era sparita dagli store digitali italiani senza nessuna spiegazione. Peccato che la versione web sia rimasta perfettamente funzionante.

Lo stop ricorda il caso ChatGPT

La vicenda ha un che di déjà vu: nel 2023 fu ChatGPT a incassare lo stop del Garante, con l’Italia che si prese il lusso di essere il primo Paese a mettere sotto scacco l’intelligenza artificiale di OpenAI per la gestione disinvolta dei dati personali e la mancata protezione dei minori.

All’epoca, OpenAI rispose con una chiusura improvvisa del servizio, scatenando una ribellione digitale tra innovatori e appassionati. Dopo qualche tira e molla, correzioni e rattoppi normativi, il chatbot tornò a disposizione degli italiani.

Anche stavolta il blitz del Garante ha acceso i riflettori in Europa. Oggi, la Cnil francese ha fatto sapere di aver avviato verifiche su DeepSeek per capirci qualcosa di più sulle sue pratiche di gestione dei dati. La partita, insomma, è appena cominciata.

L’IA cinese e il suo impatto sul mercato

DeepSeek è entrata nel radar del settore tecnologico grazie alle sue prestazioni da big spender a prezzi stracciati. I modelli open-source messi in circolazione dalla società cinese hanno mostrato i muscoli, dimostrando di poter competere alla pari, se non superare, le alternative a stelle e strisce.

Sul sito ufficiale, l’azienda non si fa problemi a dichiarare che i dati degli utenti finiscono su server in Cina, che le conversazioni con l’Ia possono essere riutilizzate per addestrare gli algoritmi e che, in teoria, il servizio non è pensato per under 14. Un problema di dati che ricorda quello di Tesla in Cina.

Il Garante ha dato alla società venti giorni per spiegare come tratta le informazioni personali. La risposta, un capolavoro di vaghezza, non ha convinto nessuno. L’Autorità ha quindi deciso di scavare più a fondo e ha avviato un’istruttoria formale.

DeepSeek bloccata anche altrove? Ecco chi la tiene d’occhio

L’Italia non è l’unica ad aver messo DeepSeek in castigo. Anche l’Irlanda ha storto il naso e chiesto chiarimenti sul trattamento dei dati, senza però ricevere nulla di convincente. Risultato: l’app è sparita dagli store digitali di Google e Apple pure lì.

Negli Stati Uniti, la questione è più sfumata, ma si parla già di sospetti di plagio nei confronti di OpenAI. Insomma, DeepSeek potrebbe non essere solo un problema di privacy, ma anche di proprietà intellettuale.

In Francia, come detto poc’anzi, la Commission nationale de l’informatique et des libertés ha annunciato verifiche approfondite sulla gestione dei dati da parte della società cinese. Segno che il caso non è affatto chiuso e potrebbe riservare nuove sorprese. L’Italia ha già staccato la spina, altri Paesi stanno ancora riflettendo, ma il vento non sembra soffiare a favore di DeepSeek.

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