Poeta, scrittore, critico, pittore e giornalista, Eugenio Montale è deceduto a Milano il 12 settembre 1981, ma per il mondo dell’editoria e della filologia non è mai andato via. Il caso del suo diario postumo è ancora particolarmente aperto e discusso.
C’è chi lo ritiene il suo grande colpo di genio. Altri, invece, ritengono si tratti di un clamoroso falso. Scendiamo nei dettagli, per capire di cosa si tratti esattamente e quali sono le ultime teorie in merito.
Il diario postumo di Montale
La storia che ci è stata proposta in tutti questi anni è che Eugenio Montale avesse consegnato ben undici buste alla poetessa e mura Annalisa Cima. In ognuna di queste erano stipate sei poesie, delle quali lei era la principale fonte d’ispirazione.
L’intento era quello di veder pubblicata una busta all’anno, dal 1986 al 1996, concludendo così la raccolta nell’anno del centenario della sua nascita. Il suo grande scherzo al mondo della letteratura era però racchiuso nell’undicesima busta. Al suo interno, infatti, non c’erano sei poesie, bensì ventiquattro. Il nome scelto per il volume fu Diario postumo. 66 poesie e altre, andando a sottolineare con l’ultima parola i 18 scritti extra non previsti.
L’unica detentrice dei testi autografi è Annalisa Cima. È stata proprio lei a rendere il tutto pubblico, rispettando quelle che dovrebbero essere state le ultime volontà di Montale.
La critica
Il mondo della critica letteraria italiana dibatte da molti anni in merito a questa annosa vicenda. Il critico Guido Mazzoni si era così espresso in merito: “Ciò che per primo viene in mente, leggendo queste poesie di Montale, non è la loro dubbia paternità, ma la loro indubbia irrilevanza”.
Ad accendere la miccia di questa diatriba fu il filologo Dante Isella, primo a mettere in discussione pubblicamente l’autenticità degli scritti negli anni Novanta. Accusato prontamente dai sostenitori della bontà dei testi d’aver dapprima dato parere favorevole, per poi cambiare idea. È così che la discussione ha preso un aspetto molto personale, tra dure critiche, litigi e attacchi privati.
Negli anni Duemila ha tentato di riaccendere la miccia di questa storia il classicista Federico Condello. Ha pubblicato I filologi e gli angeli, riprendendo le analisi di Isella e tacciando il diario postumo come un falso. Cosa che renderebbe ciò il caso di falsificazione più eclatante della letteratura italiana del secolo scorso.
Una risposta certa non giungerà mai, il che non ci lascia altri che ulteriori scritti e articoli, schieratisi da una parte o dall’altra. Tra chi nega con assoluta certezza ogni possibilità di autenticità e chi lancia chiare accuse di volersi aggrappare al canone, al Montale che fu, rinnegando quando scritto solo perché giudicato “irrilevante” o non corrispondente al proprio gusto.
C’è poi chi immagina l’autore intento a ridere di ciò che sapeva sarebbe successo. Apprezzando il diario postumo come autentico, alcuni guardano a queste poesie come a una burla, l’ultima, di un autore geniale, un letterato senza tempo. Forse la lettura migliore, perché tiene conto che l’autore è tale nello sguardo altrui. Di per sé, infatti, è soltanto un uomo.