Lotta ai pirati delle pay tv: a che punto siamo in Italia

In Salento sono stati assolti 13 pirati delle pay tv dall’accusa di ricettazione perché il fatto non è previsto dalla legge come reato

Pubblicato: 14 Dicembre 2024 19:51

Andrea Celesti

Giornalista economico-sportivo

Giornalista esperto di economia e sport. Laureato in Media, comunicazione digitale e giornalismo, scrive per diverse testate online e cartacee

La pirateria online, in particolare quella che riguarda le pay tv, rappresenta una piaga sempre più diffusa nel nostro Paese. Nonostante le iniziative messe in campo dalle autorità e dalle piattaforme legali, il fenomeno continua a proliferare, sottraendo ingenti risorse economiche al settore audiovisivo e danneggiando l’intero ecosistema.

La struttura dei modelli di business, unita all’evoluzione tecnologica e una giurisdizione complessa, sono solo alcuni dei fattori che oggi rendono sempre più difficile la lotta alla pirateria. Emblematico è il caso accaduto in Salento, dove 13 clienti sono stati assolti dall’accusa di ricettazione perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, “cavandosela” con una sanzione amministrativa da 154 euro.

Pirati pay tv: l’inchiesta salentina

L’indagine, condotta dai militari guardia di finanza di Lecce, aveva scoperto il giro portato avanti da alcuni clienti, che acquistavano tramite una Postepay gli abbonamenti Iptv pirata da un sito internet che permetteva loro di vedere contenuti riservati agli abbonati sulle piattaforme Mediaset Premium, Sky, Dazn e Disney Channel.

Nonostante Mediaset si era costituita parte civile chiedendo un risarcimento di 80mila euro, i clienti imputati sono stati assolti con una sentenza del giudice, che, in assenza di prove concrete a sostegno delle accuse, ha escluso qualsiasi loro coinvolgimento nelle attività di produzione e distribuzione dei supporti informatici, valutando la detenzione dei supporti come un’attività esclusivamente privata.

Una linea portata avanti anche dalla Corte di Cassazione, che in più occasioni ha valutato l’uso personale di tali supporti come un illecito amministrativo e non reato di ricettazione.

Il contrasto ai pirati delle pay tv in Italia: i rischi per i clienti e per chi lancia i sistemi

Negli ultimi anni, la pirateria televisiva, legata a servizi IPTV illegali, si è evoluta, rendendo sempre difficile per le autorità stare al passo. Le piattaforme, sempre più sofisticate, cambiano dominio, crittografano i segnali o si nascondono dietro reti anonime. La diffusione di dispositivi come le smart TV e gli smartphone non ha fatto altro che facilitare l’accesso ai contenuti illegali, con il conseguente aumento della base di utenti.

A settembre è arrivata un’ulteriore stretta al pezzotto. Dopo le multe automatiche, fino a 5.000 euro per coloro che vengono trovati a utilizzare servizi di streaming pirata (applicate sia ai fornitori di contenuti illegali, che agli utenti che accedono a tali servizi) con conseguente blocco dei siti da parte delle autorità, sono arrivati gli emendamenti anti-pezzotto 6.0.35 e 6.0.36 al dl Omnibus, che puniscono chi non denuncia nonostante sia a conoscenza della truffa in atto.

Il primo testo, che modifica la normativa sui provvedimenti urgenti e cautelari dell’Agcom per la disabilitazione dell’accesso a contenuti diffusi abusivamente, sancisce la riapertura dei siti web bloccati dopo almeno sei mesi, a condizione che non vengano utilizzati per attività illegali.

Il secondo, introduce il carcere fino a un anno per i provider di internet che non segnalano alle autorità la presenza di trasmissioni illegali, come quelle relative alle partite di calcio diffuse tramite app o siti web. Il governo ha finanziato lo scudo anti-pezzotto con 2 milioni di euro annui.

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