Vaiolo delle scimmie o Mpox, dieci domande per capire quanto ne sappiamo

Il vaiolo delle scimmie rappresenta un modello di malattia zoonotica, che può diffondersi tra animali e persone. Come si manifesta, quali animali possono trasmetterla e cosa fare per ridurre i rischi

Pubblicato: 23 Agosto 2024 14:58

Federico Mereta

Giornalista scientifico

Laureato in medicina e Chirurgia ha da subito abbracciato la sfida della divulgazione scientifica. Raccontare la scienza e la salute è la sua passione, perché crede che la conoscenza sia alla base di ogni nostra scelta. Ha collaborato e ancora scrive per diverse testate, on e offline.

Zoonosi. Tenete a mente questo termine, perché per il MonkeyPox (da cui la sigla Mpox o la traduzione vaiolo delle scimmie) come del resto per tante altre patologie infettive, il rapporto tra uomo ed animale è fondamentale. E quindi si parla di One Health, in un approccio che deve tenere presente la sfera umana, quella animale e l’ambiente.

Ma cosa significa zoonosi? Si parla di una malattia infettiva che riconosce il suo serbatoio in una specie animale e che viene trasmessa, per via diretta o indiretta, all’uomo. Classico esempio di zoonosi a trasmissione diretta è la rabbia, come la salmonellosi può essere presa a modello di zoonosi a trasmissione prevalentemente indiretta. In questo senso il vaiolo delle scimmie rappresenta un modello di malattia zoonotica, il che significa che può diffondersi tra animali e persone.

Come segnalano i CDC (Centri per il Controllo delle Malattie) di Atlanta, non è del tutto chiara la fonte dell’infezione. Si ritiene comunque che esistano animali “portatori” come alcuni tipi di ratti e ghiri, in alcune parti dell’Africa occidentale e centrale. Detto questo, proviamo a capire quanto ne sappiamo ad oggi, basandoci su dati degli stessi CDC e dell’Istituto Superiore di Sanità.

Cos’è il vaiolo delle scimmie e perché si chiama così?

Come abbiamo detto l’Mpox è una zoonosi. Quindi si tratta di una malattia trasmessa dagli animali all’uomo e le scimmie non sono certo i principali responsabili del possibile contagio. Si chiama così perché il virus, che fa parte della famiglia dei Poxvirus, la stessa che comprende anche il virus del vaiolo umano, è stato riconosciuto inizialmente nei primati. Stiamo parlando del 1958. Il primo caso umano è stato invece osservato inizialmente nel 1970.

Il virus è uscito solo recentemente dall’Africa?

No. Pur essendo endemico in alcune zone del continente, in particolare nell’area centrale ed occidentale, il ceppo virale ha già provocato microepidemie” umane fin dall’inizio di questo secolo. Pensate: nel 2003, si è verificata un’epidemia di Mpox negli USA nei cosiddetti “Prairie Dogs” (il nome può ingannare, visto che non si tratta di cani ma di piccoli roditori). Questi animali avevano condiviso lettiera e gabbia con una spedizione di piccoli mammiferi infetti dall’Africa occidentale. C’è stata allora la prima microepidemia umana, con 47 casi umani in sei stati. Ed è stata la prima volta che si è parlato di questo virus fuori dall’Africa.

Quali animali possono trasmettere il virus?

Sempre secondo i CDC, l’essere umano può contrarre l’infezione attraverso il contatto diretto con animali infetti, quindi durante la caccia, la cattura e la lavorazione di animali infetti o delle loro parti del corpo e fluidi. Occorre prestare attenzione soprattutto ai piccoli mammiferi, come scoiattoli, ricci, toporagni e simili, anche perché si è visto che i piccoli mammiferi possono essere portatori del virus senza sintomi, mentre i primati non umani come le scimmie possono ammalarsi di vaiolo delle scimmie, ma comunque presentare segni di malattia come gli esseri umani.

Come si manifesta l’infezione?

In termini generali, inizialmente il quadro può ricordare quello dell’influenza. La persona può avere infatti febbre, debolezza, dolori ai muscoli, brividi in corrispondenza dei rialzi della temperatura corporeo. Possono anche “gonfiare” i linfonodi, ovvero le ghiandole linfatiche. In seguito possono presentarsi le classiche lesioni della pelle, con la sequenza tipica di queste forme ovvero con la comparsa di piccole vesciche che si riempiono di liquido giallognolo e diventano pustole, per poi lasciare spazio alle croste. Va anche detto che non sempre la sequela di sintomi e segni è così chiara: a volte i segnali iniziali possono essere più leggeri. E ci sono casi in cui le lesioni cutanee precedono o accompagnano i disturbi più aspecifici come febbre o astenia.

Dove si localizzano le lesioni del vaiolo delle scimmie?

Parlando in termini generali, quasi sempre le vesciche con le successive trasformazioni in pustole tendono a localizzarsi attorno agli organi genitali e all’ano, oltre che agli arti superiori ed inferiori, ai palmi delle mani e alle piante dei piedi. Coinvolti sono frequentemente anche il tronco ed il volto. Va infine ricordato che solo raramente possono essere presenti lesioni legate all’infezione virale all’interno della bocca e alla faringe.

Come si fa la diagnosi?

Deve essere il medico a sospettare la presenza dell’infezione e a dare consigli. Visto il quadro, comunque, per chi sospetta un’infezione da virus Monkeypox è fondamentale porsi in isolamento, per evitare possibili rischi di contagio interumano. Sul fronte tecnico, pur se il medico può sospettare questa condizione sulla scorta dell’osservazione del quadro, conviene sempre sottoporsi ad esami di laboratorio mirati.

Come si può trasmettere l’infezione?

Come abbiamo detto, stiamo parlando di una zoonosi. Quindi la possibile trasmissione del virus può avvenire tramite il contatto ravvicinato con un animale infetto o piuttosto da persona a persona. In questo secondo caso il contatto diretto con la pelle, il bacio o in corso di rapporto sessuale può consentire il passaggio del virus da un individuo all’altro. Per questo si parla di contatti stretti. Va detto comunque che il contagio, secondo quanto osservato recentemente, non è facile. Particolarmente attenzione va prestata alla prolungata vicinanza del volto, con l’esposizione a particelle emesse dalle vie respiratorie.
È molto importante piuttosto evitare contatti con oggetti potenzialmente contaminati, come gli asciugamani, gli indumenti è le lenzuola.
Un’ultima raccomandazione. Durante la gravidanza il virus può passare dalla madre al feto ed anche subito dopo il parto può avvenire il contagio per via cutanea. Va ricordato che il contatto stretto con una persona infetta rappresenta un rischio.

Come si tratta l’infezione?

In genere il vaiolo delle scimmie conduce a sintomi che possono autorisolversi in alcune settimane. In questi casi, seguendo le indicazioni del medico, si possono assumere farmaci che riducono la febbre o che aiutano a controllare il dolore. Ci sono però situazioni in cui l’infezione può avere un decorso più grave: accade soprattutto nelle persone che presentano specifiche debolezze del sistema difensivo, per patologia o per cure che stanno seguendo, e in chi ha un’immunità non perfettamente funzionante come può accadere nei bambini.
Fondamentali sono infine le norme di autoprotezione (conviene evitare di grattarsi nell’area delle lesioni e di mantenere una buona igiene delle mani) l’isolamento e l’utilizzo di una mascherina.

Cosa bisogna fare per ridurre i rischi?

Dopo la tempestiva circolare del Ministero della Salute, il Gruppo di Lavoro “Prevenzione e Gestione delle Emergenze” della Società Italiana d’Igiene, Medicina Preventiva e Sanità Pubblica (SItI) – con la supervisione redazionale di Matteo Riccó – ha predisposto uno Slide Kit per i medici.
Il documento ricorda che al momento il rischio di contrarre il Mpox è considerato “basso/molto basso” per i soggetti residenti nell’Unione Europea. Possono comunque essere condivise le seguenti raccomandazioni:

Parallelamente sono state diffuse anche delle raccomandazioni per i viaggiatori:

È sempre consigliabile consultare le linee guida del paese ospitante prima di effettuare un viaggio.

Esiste un vaccino?

Come ricordano gli esperti dell’Istituto Superiore di Sanità è possibile che le persone che sono state vaccinate contro il vaiolo (vaccinazione abolita in Italia nel 1981) siano a minor rischio di infezione con il Monkeypox per la similitudine del virus del vaiolo con il Monkeypox. Nell’attuale contesto epidemiologico non è raccomandata la vaccinazione per la popolazione generale.
La SItI nel suo documento ricorda che “data l’affinità con il virus del vaiolo umano, la ricerca clinica si interessa di Mpox da molti anni e questo ha portato a sviluppare alcuni preparati vaccinali. Il vaccino MVA-BN, al momento utilizzabile in Italia su soggetti ad elevato rischio, prevede una somministrazione sottocutanea, con 2 dosi separate con seconda dose a non meno di 28 giorni dalla prima”.

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