Curare la persona e non la malattia. Si dice spesso. Ed è importante che l’approccio non sia limitato al trattamento medico, ma che integri competenze multidisciplinari e risposte personalizzate. Il tutto per dare più tempo, migliorando le prospettive dei pazienti attraverso la diagnosi precoce e l’accesso all’innovazione terapeutica, e più vita, aiutando i pazienti a vivere al meglio tutto il tempo del loro percorso.
Questi sono gli obiettivi di una campagna di sensibilizzazione sull’esperienza delle persone con tumore metastatico del colon-retto “Più – Più cura. Più tempo. Più vita.” Ma più in generale, la sfida a questo rumore che rappresenta la terza forma neoplastica più diffusa al mondo secondo l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro, deve passare attraverso i mutamenti delle cure, sempre più efficaci, e soprattutto sulla diagnosi precoce. Anche perché i numeri sono impressionanti. Secondo il Rapporto AIOM AIRTUM “I numeri del cancro in Italia”, nel 2024 sono state stimate circa 48.706 nuove diagnosi e sono 442.600 le persone viventi nel nostro Paese dopo una diagnosi di tumore del colon-retto.
Il carcinoma del colon-retto ha origine dalle cellule del colon, o intestino crasso, e del retto. Nella maggior parte dei casi si sviluppa da piccole escrescenze benigne della mucosa intestinale, chiamate polipi, che se non asportati possono subire un’evoluzione maligna. Fondamentale è la prevenzione oltre che l’adesione ai programmi di screening che consentono di individuare con specifici esami diagnostici (sangue occulto nelle feci e colonscopia) le formazioni e di asportarle per tempo.
Indice
Come cambia il tumore del colon-retto
Il numero di persone che muoiono dopo aver ricevuto una diagnosi di tumore del colon-retto sta progressivamente diminuendo negli anni: il dato viene regolarmente confermato anno dopo anno da circa vent’anni, merito dei programmi di screening, dei miglioramenti della chirurgia e ai progressi delle terapie mediche.
Mentre l’aspetto un po’ meno positivo riguarda l’incidenza, ossia il numero dei nuovi casi diagnosticati ogni anno. Come indica Gianluca Masi, Direttore Dipartimento di Oncologia presso l’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana,
“si registra una diminuzione delle nuove diagnosi nella fascia d’età tipica per l’insorgenza dei tumori del colon, vale a dire 50-60 anni, e si inizia ad osservare nei Paesi nord-europei, negli Stati Uniti e in alcune aree dell’Asia un aumento di questi tumori, ribattezzati early-onset, o tumori ad insorgenza precoce, nelle persone giovani-adulte, tra i 20 e i 45 anni. Questo fenomeno, legato a fattori ambientali e a stili di vita, desta qualche preoccupazione nei clinici. Il tumore del colon-retto nel 75% dei casi è considerato sporadico, nel senso che insorge e colpisce un individuo in maniera del tutto casuale, senza una causalità specifica. Un 10% circa dei tumori del colon-retto si verifica in conseguenza di una familiarità e predisposizione a sviluppare queste neoplasie e poi abbiamo un 5% circa propriamente detti ereditari”.
Dunque, la genetica è sicuramente un fattore di rischio molto importante e determinante, anche se oggi siamo in grado di identificare i soggetti che presentano le alterazioni genetiche. L’insorgenza della gran parte dei tumori del colon-retto è dunque legata ad abitudini di vita non corrette: dieta povera di fibre, eccessivo consumo di grassi animali e carni rosse, assunzione di cibi processati (insaccati), sovrappeso/obesità, fumo di sigaretta e scarsa attività fisica. Questi sono fattori di rischio, ma non possono essere considerati fattori eziologici. Ulteriori fattori di rischio sono le malattie infiammatorie croniche dell’intestino.
Il valore della diagnosi precoce
In Italia la sopravvivenza sta progressivamente aumentando negli anni, merito dei programmi di screening, dei miglioramenti della chirurgia e dei progressi delle terapie mediche. Tuttavia, a fronte di una diminuzione delle nuove diagnosi nella fascia d’età tra i 50 e i 60 anni, si inizia ad osservare un aumento di questi tumori, ribattezzati early-onset, o tumori ad insorgenza precoce, nelle persone giovani-adulte, fra i 20 e i 45 anni. proprio sullo screening, peraltro si puntano molte attenzioni. Come ricorda Tiziana Pia Latiano, Consigliere Nazionale AIOM – Associazione Italiana Oncologia Medica, lo screening per il tumore del colon-retto ha un ruolo cruciale nella diagnosi precoce e nella riduzione della mortalità.
“Attualmente i programmi di screening offerti gratuitamente dal SSN nella fascia d’età 50-69 anni si basano sulla ricerca di sangue occulto nelle feci e sull’esecuzione della colonscopia. Lo screening è in grado di individuare la presenza della neoplasia in persone asintomatiche, attraverso l’identificazione di lesioni precancerose e adenomi, i cosiddetti polipi, formazioni benigne potenzialmente in grado di trasformarsi in cancro. Individuare e asportare i polipi è fondamentale perché in questi casi le possibilità di cura e guarigione sono significativamente più alte. Gli studi della letteratura scientifica ci mandano un messaggio molto forte: è fondamentale partecipare allo screening, che è in grado effettivamente di ridurre la mortalità per il tumore del colon-retto di oltre il 30% grazie alla diagnosi precoce che consente il trattamento immediato delle lesioni precancerose”.
Purtroppo, bisogna aggiungere che in Italia l’adesione ai programmi di screening per il tumore del colon-retto è ancora subottimale in molte Regioni. È essenziale promuovere campagne di sensibilizzazione per migliorare la partecipazione e garantire un accesso equo agli strumenti di prevenzione, focalizzando l’attenzione sulle fasce di popolazione più a rischio.
Gli obiettivi delle cure
Nei primi stadi, il tumore può essere curato completamente, a riprova dell’importanza della diagnosi precoce. Le principali strategie terapeutiche includono chirurgia, chemioterapia, radioterapia, immunoterapia, farmaci a bersaglio molecolare (target therapy). Terminato il percorso terapeutico, inizia la fase del follow up che consente di tenere sotto osservazione la qualità di vita e il benessere psicologico del paziente e la malattia, individuando precocemente eventuale comparsa di recidive o metastasi.
Ovviamente il quadro cambia nei casi più avanzati come il carcinoma colorettale metastatico: le cure hanno l’obiettivo di rallentare la crescita del tumore e prevenire o ritardare la formazione di nuove metastasi, mantenendo la qualità della vita. Arrivare presto insomma è fondamentale. Ma anche nei casi di malattia più avanzata, come il carcinoma metastatico del colon-retto, l’obiettivo principale è rallentare la crescita del tumore e prevenire o ritardare la formazione di nuove metastasi, mantenendo al contempo la qualità di vita. Si punta insomma sul “continuum of care”, che sta a significare “continuità di cure”.
“E’ un fattore molto importante che contribuisce in maniera significativa al costante calo della mortalità registrato anno dopo anno – fa sapere Masi. Questo approccio ha una sua efficacia e validità nel caso specifico di tumore del colon-retto in fase avanzata e metastatica. Nei casi in cui un cancro del colon-retto viene diagnosticato in fase iniziale, viene trattato con chirurgia e terapie mediche con buone probabilità di guarigione. Nel caso in cui la malattia è avanzata e ha già diffuso metastasi in altri organi è più difficilmente guaribile – anche se in alcuni casi si può – ed è molto più complesso gestirla. Questi pazienti beneficiano del continuum of care, che consiste nello sviluppare delle strategie di trattamento che prevedano l’utilizzo sequenziale di tutti i farmaci attivi, cercando di personalizzare al massimo le sequenze terapeutiche sulla base di elementi clinici e/o biologici (caratteristiche molecolari del tumore). La ricchezza di opzioni farmacologiche di cui oggi disponiamo ci consente di pensare ad una strategia di trattamento per le forme avanzate non guaribili con un singolo atto terapeutico. Questo fa sì che un paziente possa ricevere una prima linea di terapia, seguita da un mantenimento, una pausa, poi riprendere la terapia o passare ad una terapia di seconda linea e via via a terapie successive di terza, quarta, quinta linea, che di volta in volta consentono di tenere sotto controllo la malattia o di farla regredire”.
L’approccio continuum of care ha evidenze scientifiche che dimostrano come i pazienti che riescono a beneficiare di più farmaci attivi sono proprio quelli che hanno il miglior controllo di malattia e, quindi, una prognosi migliore. L’oncologo oggi deve essere capace di gestire la sequenza dei trattamenti in modo da garantire al paziente un controllo di malattia per tempi sempre più lunghi e bilanciandolo con i possibili effetti collaterali. Il continuum in questi casi diventa veramente un valore aggiunto molto significativo. In questo percorso possono associarsi anche trattamenti non farmacologici, che vengono resi possibili proprio grazie al successo delle terapie farmacologiche. In tutto questo, il paziente ha bisogno anche di un supporto psicologico che serve a rafforzare fisicamente e mentalmente la sua resistenza alle cure. I benefici principali sono legati al miglioramento della qualità della vita e ad un allungamento variabile della sopravvivenza. La cronicizzazione della malattia è l’obiettivo che l’oncologo si pone di raggiungere con terapie orali, con un carico di impegno e di effetti collaterali per il paziente più ridotto.