La vita di coppia aiuta l’uomo (ma non la donna) a invecchiare meglio

Uno studio canadese rivela che gli uomini sposati hanno il doppio di probabilità di invecchiare in salute rispetto ai single. Per la donna, la presenza di un “lui” non avrebbe lo stesso impatto positivo

Pubblicato: 2 Settembre 2024 16:22

Federico Mereta

Giornalista scientifico

Laureato in medicina e Chirurgia ha da subito abbracciato la sfida della divulgazione scientifica. Raccontare la scienza e la salute è la sua passione, perché crede che la conoscenza sia alla base di ogni nostra scelta. Ha collaborato e ancora scrive per diverse testate, on e offline.

Ridurre il rischio di sviluppare malattie gravi, sia fisiche che mentali. Sentirsi felici. Mantenere una buona salute del corpo e della psiche. Per disegnare il benessere nella mezza età e quando gli anni avanzano, sono questi i parametri più significativi per definire un invecchiamento soddisfacente.
Ma quanto pesa essere in due ad affrontare la vita giorno dopo giorno? Per l’uomo, sicuramente è importante. Per la donna conterebbe meno. A dare questa indicazione è un’originale ricerca canadese su persone seguite nel tempo, per circa tre anni. La ricerca ha preso in esame i dati relativi a 7641 soggetti over-60 considerando le loro condizioni sociali e sanitaria prima nel periodo 2011-2015, con controlli poi ripetuto nel periodo 2015-2018. E’ stato condotto in Canada. E rivela come per l’uomo la vita di coppia risulti particolarmente importante per il mantenimento del benessere e, curiosamente, segnala una potenziale differenza di genere. Per la donna, la presenza di un “lui” non avrebbe lo stesso impatto positivo.

Cosa dice la ricerca

Stando alla ricerca gli uomini sposati o che si sono sposati nel corso dell’indagine hanno mostrato una probabilità doppia di invecchiare in modo ottimale rispetto ai loro coetanei maschi che non hanno mai fatto vita di coppia. Per le donne la situazione appare diversa. Quelle che non si erano mai sposate avevano il doppio delle probabilità di invecchiare in modo ottimale rispetto ai maschi sposati rimasti vedovi o divorziati per il periodo di osservazione, ma non avevano traiettorie diverse in termini di invecchiamento in salute rispetto a chi non si è coniugato durante il periodo di studio. Insomma: per le donne non esisterebbe una differenza significativa in termini di traiettoria di salute per il benessere nella terza età tra quelle che si sono sposate e quelle che non vivono in coppia.
Lo studio è stato coordinato da Esme Fuller-Thomson, direttore dell’Institute for Life Course & Aging e docente presso la Facoltà di lavoro sociale Factor-Inwentash dell’Università di Toronto (primo nome Mabel Ho) ed è stato pubblicato online su International Social Work.

L’importanza del contatto sociale

Spiegare questi risultati, che ovviamente prendono in considerazione una popolazione varia e non consentono di trarre conclusioni sulla singola coppia, rivela il peso del genere sul benessere nella terza età. I potenziali motivi di questi effetti positivi appaiono certamente legati alla spinta che, in particolare per l’uomo, può venire dallo stimolo vicendevole ad adottare o mantenere comportamenti di salute positivi come non fumare o dedicarsi ad un’attività fisica regolare. E sicuramente lo stile di vita con scelte sane in termini di alimentazione e buone abitudini appare di grande importanza.
Ma c’è un aspetto più ampio da non sottovalutare visto che, a prescindere dalla vita di coppia, i contatti regolari con parenti, amici e vicini può aiutare gli anziani a sentirsi connessi, ridurre il senso di solitudine e migliorare il loro benessere generale. Fondamentale, a detta degli esperti canadesi, è comunque puntare su programmi e servizi mirati a coinvolgere e supportare gli anziani, con un occhio di riguardo per chi non ha mai realizzato una vita di coppia, chi è rimasto vedovo o comunque si è separato in età adulta.

Il valore della telemedicina

Socializzare, a prescindere dalla presenza di un coniuge che sicuramente aiuta a mantenersi “connessi” con il mondo esterno e migliora il benessere psico-fisico, appare strategico per la prevenzione del deterioramento cognitivo. Ed anche la tecnologia può aiutare in questo senso, come rivela una ricerca apparsa su Lancet Health Longevity. Grazie ad un’assistenza psicologica strutturata, pur erogata solamente per via telefonica per un periodo di otto settimane, c’è stato un pesante riscontro (in positivo) sul fronte della solitudine sul fronte emotivo. Il calo della percezione di solitudine delle persone raggiunte attraverso la chiamata è stato del 21%. Lo studio, come riporta una nota dell’Università di York, è stato condotto dagli esperti dello stesso ateneo insieme a studiosi della Hull York Medical School e del Tees, Esk and Wear Valleys NHS Foundation Trust.
Pensate che la telemedicina, anche attraverso una semplice telefonata, può diventare insomma uno strumento di prevenzione. E può segnalare l’importanza di mantenere un contatto, anche non fisico, con persone che per patologia o per condizioni sociali si trovano ad imboccare il tunnel della solitudine, con conseguenti ricadute sullo stato psicologico. Addirittura il contatto con un operatore che sa cosa proporre e come “accompagnare” la persona, attraverso appuntamenti fissi e definiti, può diventare un ottimo strumento di prevenzione per il benessere psicologico e non solo, considerando che una condizione di solitudine che si mantiene nel tempo può addirittura apparire come un potenziale fattore di rischio aggiuntivo per l’ictus cerebrale dopo in 50 anni, con un incremento del rischio più alto del 56% rispetto a chi si trova inserito e partecipe in un ambito sociale e familiare. Lo studio che lo dimostra è apparso su eClinicalMedicine.

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