Poche ore dopo che l’Oms ha registrato il primo caso di influenza aviaria data dal virus H5N1 in Australia, il governo delle Filippine ha bloccato tutte le importazioni di pollame dal Paese, che rappresentavano il 4% del totale. Il sospetto delle autorità australiane è che l’infezione del paziente risultato positivo sarebbe avvenuta in India, e non sul proprio territorio nazionale.
L’influenza aviaria è vista da decenni come la prossima possibile pandemia mondiale, a causa delle molteplici occasioni in cui il virus può effettuare un salto di specie. Il suo primo effetto però potrebbe essere economico, con una crescente diffidenza nei confronti dei prodotti derivati dal pollame dei Paesi che vengono colpiti da questa malattia.
Le Filippine bloccano le importazioni di pollo dall’Australia
Nella mattinata dell’8 giugno il governo delle Filippine ha deciso di bloccare tutte le importazioni di pollame, incluse carne e uova, dall’Australia. La ragione è lo scoppio di un focolaio di influenza aviaria all’interno di alcuni Stati del Paese oceanico. Una decisione non senza conseguenze per Manila, che perde in un solo giorno il 4% del totale del volume di importazioni di questi beni, bloccando dal proprio mercato il quarto importatore in assoluto.
Lo Stato australiano di Victoria è alle prese con due diversi focolai di influenza aviaria nei polli. Si tratta del virus H7N3 e H7N9, tra i patogeni che causano questa malattia negli uccelli. Inizialmente i focolai hanno avuto origine tra il 23 e il 25 maggio, ma i problemi di contenimento continuano anche dopo settimane dai primi casi. I problemi agli allevamenti sono stati messi in luce anche dal primo caso di influenza aviaria in un essere umano nel Paese.
Si tratta di una bambina di poco più di due anni, che è stata ricoverata con i sintomi della malattia negli scorsi giorni. Dopo alcune analisi però, sia le autorità locali che l’Organizzazione mondiale della sanità hanno confermato che non esiste un legame tra l’epidemia in corso negli allevamenti australiani e questo caso. La bimba sarebbe infatti stata infettata dal virus H5 N1, lo stesso che si è diffuso in alcuni allevatori americani attraverso il latte vaccino, a sua volta infetto a causa di un passaggio di specie del virus.
Ulteriori esami e verifiche hanno poi scoperto che la famiglia della bambina australiana infetta era da poco tornata da un viaggio in india. Le autorità sanitarie hanno quindi ricondotto il contagio a un’epidemia scoppiata tra gli animali nel Paese, escludendo quindi che possa essere avvenuto direttamente in Australia.
I casi di influenza aviaria nel mondo e le paure dell’Oms
L’influenza aviaria sta tornando al centro dell’attenzione mediatica. Da diversi decenni ormai, gli scienziati avvertono che la famiglia di virus che causa questa malattia potrebbe essere l’origine della prossima pandemia globale. In maniera simile a quella che è stata individuata come l’origine più probabile del Sars Cov 2, questi patogeni potrebbero infatti fare un salto di specie tramite una mutazione e da lì diventare in grado di passare da persona a persona. La ragione per cui esiste questo timore sono gli allevamenti di pollame. In questo contesto le persone rimangono a contatto con migliaia di uccelli per lungo tempo, aumentando le probabilità che un esemplare portatore di uno dei virus lo passi a un lavoratore, che il patogeno muti e che quindi si possa sviluppare una pandemia.
Al momento la situazione più monitorata è quella del virus H5N1. La ragione è un’epidemia che si sta sviluppando negli Usa, in particolare negli Stati del Michigan, al confine con il Canada nella regione dei Grandi Laghi, e del Texas, a sud, al confine con il Messico. Gli allevamenti colpiti non sono però quelli di pollame ma quelli bovini. Al momento sono 83 i focolai registrati in 9 diversi stati, ma la situazione è ritenuta più grave in Texas e Michigan. La causa più probabile di questo contagio non sembra però essere una mutazione del virus, che quindi non si sta diffondendo da bovino a bovino. Al contrario, sono finiti sotto accusa i mangimi.
Negli Usa infatti il foraggio dei bovini può essere integrato con “rifiuti dell’allevamento del pollame”, una pratica vietata in Unione europea. Il rischio però è che una diffusione significativa del virus nei mammiferi possa fare da incubatrice per una mutazione che lo renda pericoloso anche per le persone. Inoltre, gli allevamenti di bovini non sono sottoposti alle stesse restrizioni di quelli di pollame per quanto riguarda la prevenzione del contagio. Dall’epidemia statunitense sono infatti già emersi i primi casi in esseri umani.
Tre in tutto i casi registrati di allevatori di bovini rimasti contagiati dal virus H5N1 nel mese di maggio. Il numero non è preoccupante e al momento rimane il linea con i casi di contagio del 2023. A mettere sull’attenti gli esperti è stata invece la manifestazione dei sintomi della malattia. Inizialmente infatti, i primi due casi si erano sviluppati a livello oculare. Il terzo ha però invece mostrato sintomi respiratori. Questo dettaglio preoccupa perché un’infezione alle vie respiratorie ha un potenziale molto maggiore di diffondersi rispetto a una agli occhi. Al momento però, H5N1 non si è dimostrato in grado di passare da persona a persona.
L’industria del pollo italiana: cosa può succedere
Prima delle conseguenze sanitarie però, il caso australiano dimostra che l’influenza aviaria può avere conseguenze economiche significative. Il Paese è il quarto produttore di pollame nella zona del Sud Est Asiatico e dell’Oceania e la diffusione di una diffidenza nei confronti dei suoi prodotti potrebbe danneggiare migliaia di aziende che lavorano nel settore.
In Italia nel 2022, ultimo anno per cui i dati sono disponibili, l’industria del pollame ha fatturato 7,4 miliardi di euro, con l’Emilia Romagna tra le regioni che ospitano più allevamenti. Un settore importante per il primario italiano, che se colpito da eventi simili a quelli australiani rischia di subire simili problematiche.
La prevenzione contro i casi di influenza aviaria nei polli ha quindi sia un ruolo sanitario che economico. Mantenere gli allevamenti sicuri contribuisce sia ad evitare che l’infezione possa diffondersi anche agli esseri umani, sia che l’industria del pollo italiano possa avere ripercussioni dal punto di vista delle esportazioni.