Il quesito del referendum volto ad abolire la legge sull’autonomia differenziata a prima firma del leghista Roberto Calderoli è stato dichiarato inammissibile dalla Corte Costituzionale e, dunque, gli italiani non saranno chiamati ad esprimersi.
Il referendum era stato spinto da Cgil, Uil, M5S, Pd, Avs, Italia Vita, +Europa, Wwf, Anpi e Libera, fra gli altri. I firmatari accusavano l’autonomia differenziata di spaccare a metà l’Italia, creando disparità e frenando lo sviluppo del Sud.
Indice
Perché no al referendum e cosa vuol dire
Le motivazioni della sentenza verranno depositate entro il 10 febbraio, ma intanto la Corte ha già reso noto che “l’oggetto e la finalità del quesito non risultano chiari” e dunque gli elettori sarebbero chiamati ad esprimere un voto non pienamente consapevole.
Ma non è tutto: secondo le toghe, il quesito sull’autonomia andrebbe a modificare l’articolo 116 della Costituzione, quello che parla dell’autonomia, delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome, che non può essere oggetto di un referendum abrogativo ma solo di una revisione costituzionale che deve passare dal Parlamento.
Altri quesiti referendari sono invece stati approvati. Gli italiani potranno esprimersi su di essi, ma non su quello relativo all’autonomia differenziata.
Jobs act e licenziamento
La Corte Costituzionale ha dato il suo ok a cinque quesiti proposti dalla Cgil, dei quali quattro riguardano il lavoro.
Il primo riguarda una parte del Jobs act di Renzi, ovvero l’abrogazione della disciplina sui licenziamenti del contratto a tutele crescenti. Si punta a cancellare le norme sui licenziamenti che consentono alle imprese di non reintegrare i lavoratori, anche se licenziati in modo illegittimo, che siano stati assunti dopo il 2015. La locuzione “tutele crescenti” si riferisce all’aumentare della indennità riconosciuta al lavoratore in base all’anzianità di servizio maturata.
Il secondo quesito che ha ricevuto il via libera riguarda la cancellazione del tetto all’indennità nei licenziamenti nelle piccole imprese. Si punta ad alzare le tutele per chi lavora in aziende con meno di quindici dipendenti: in caso di licenziamento ingiustificato, si vuole eliminare il limite massimo delle sei mensilità di indennizzo.
Altri quesiti
Il terzo quesito approvato punta ad eliminare alcune norme sull’utilizzo dei contratti a termine.
Il quarto quesito punta ad eliminare le norme che impediscono di estendere la responsabilità all’impresa appaltante in caso di infortunio sul lavoro.
Il quinto quesito approvato riguarda il referendum abrogativo sulla cittadinanza italiana che punta a dimezzare da 10 a 5 anni i tempi di residenza dei maggiorenni extracomunitari in Italia per la naturalizzazione.
Chi esulta per il no all’autonomia differenziata
La bocciatura del quesito referendario sull’autonomia differenziata, sostenuto da forze politiche di sinistra, innesca l’esultanza del centrodestra, che punta ad affrontare la questione in Parlamento e non tramite una consultazione popolare.
Il più entusiasta è Luca Zaia, presidente del Veneto, e grande fan dell’autonomia differenziata: “La Consulta ha dichiarato inammissibile il referendum abrogativo della legge sull’Autonomia differenziata delle Regioni. Ora avanti tutta!”, ha scritto a caldo su Facebook.
A metà novembre, la Corte Costituzionale si era invece espressa sulla legge sull’autonomia differenziata. Le toghe avevano giudicato illegittime sette questioni chiave del testo, facendone invece passare altre. Tale decisione era stata accolta con un applauso da entrambi gli schieramenti politici: da sinistra si gioiva per il duro colpo a nodi fondamentali della legge, mentre da destra ci si rallegrava sostenendo che l’ossatura del provvedimento fosse stata considerata del tutto valida.