Il Governo ha cambiato il modo in cui funzionano le rivalutazioni delle pensioni con la prima bozza della Manovra del 2025. Si tratta di una misura di compromesso tra una necessità di limitare la spesa pensionistica e alcune sentenze che hanno dichiarato illegittima la limitazione della rivalutazione all’inflazione per le pensioni molto alte.
Ogni anno l’Inps utilizza i dati Istat sull’inflazione per alzare le pensioni. Lo fa per evitare che gli anziani che non possono in alcun modo integrare il proprio reddito lavorando, non perdano potere d’acquisto mentre i prezzi salgono. Negli ultimi anni il Governo aveva limitato questo meccanismo risparmiando miliardi di euro, ma alcuni tribunali hanno affermato che questa misura non è legittima.
Le nuove rivalutazioni delle pensioni: più soldi agli assegni alti
Il Governo di Giorgia Meloni ha approvato il primo testo della Manovra finanziaria per il 2025. La legge di bilancio dovrà passare ora dal Parlamento e cambierà profondamente, ma sulle pensioni, in particolare sulla loro rivalutazione all’inflazione, dovrebbe essere stato raggiunto un punto fermo.
L’esecutivo ha infatti deciso di non sfidare le decisioni dei tribunali che hanno sollevato dubbi sulla legittimità della limitazione di questa misura annuale per gli assegni alti. Per questa ragione si è limitato a ritoccare leggermente la rivalutazione all’inflazione delle pensioni più alte, ma in misura molto minore rispetto a quanto accaduto gli anni scorsi.
Secondo i dati Istat, quest’anno la rivalutazione sarà attorno all’1,6% e il Governo ha deciso che rimarrà al 100% per tutti gli assegni fino a 4 volte la pensione minima, quindi circa 2100 euro al mese. Limitate, ma comunque presenti, le diminuzioni della rivalutazione al crescere degli assegni.
- Tra 4 e 5 volte la minima (2.100-2.600 euro al mese): 90%;
- Tra 5 e 6 volte la minima (2.600-3.100 euro al mese): 75%;
- Oltre 6 volte la minima (più di 3.100 euro al mese): 50%.
Perché il Governo non può più limitare la rivalutazione
Dalla legge di bilancio del 2023, quindi dal 2022, i Governi italiani hanno iniziato a tagliare la rivalutazione delle pensioni per risparmiare sulla spesa pensionistica. In precedenza questo meccanismo automatico, che alza le pensioni a gennaio di ogni anno in base all’inflazione, non era un problema per le casse dello Stato a causa del bassissimo aumento dei prezzi. Il picco dell’inflazione nel 2022 ha però spinto gli esecutivi ad agire tagliando nettamente la perequazione per gli assegni più alti.
Negli ultimi mesi però alcuni ex dirigenti scolastici in pensione hanno fatto causa allo Stato perché ritengono questa misura illegittima. La Corte dei conti della Toscana si è espressa in maniera molto dura a riguardo.
“La penalizzazione dei titolari di trattamenti pensionistici più elevati lede non solo l’aspettativa economica ma anche la stessa dignità del lavoratore in quiescenza. In tale prospettiva la pensione più alta alla media non risulta considerata dal legislatore come il meritato riconoscimento per il maggiore impegno e capacità dimostrati durante la vita economicamente attiva, ma alla stregua di un mero privilegio” recita una delle sentenze che ha dato ragione agli ex presidi.
Per questa ragione il Governo ha preferito agire in maniera molto più limitata rispetto agli scori anni. Il taglio della perequazione arrivava quasi al 70%, molto più netto anche del più severo tra quelli previsti per il 2025.