Limitare le rivalutazioni delle pensioni medio-alte per rimediare le risorse necessarie alla conferma di Quota 103. È l’espediente allo studio dell’Esecutivo per sostenere il sistema previdenziale tramite la conferma della formula 62 anni di età più 41 di contributi anche nel 2024. Il costo dell’adeguamento all’inflazione degli assegni sarebbe insostenibile per le casse dello Stato e per questo il Governo Meloni avrebbe intenzione di limare la perequazione automatica per i trattamenti più ricchi, nonostante il caro-vita continui a pesare sulle spalle delle famiglie italiane.
Il taglio alle pensioni
Quello che dovrebbe essere inserito nella Legge di Bilancio 2024 sarebbe un nuovo taglio alle rivalutazioni delle pensioni oltre quattro volte il minimo Inps, dopo quello già applicato nella Manovra 2023.
Già a partire dallo scorso gennaio, infatti, l’Inps aveva attributi la perequazione all’inflazione secondo le norme riviste dal Governo Meloni, che prevedevano un adeguamento degli assegni e delle prestazioni assistenziali del 100% soltanto per chi nel 2022 aveva ricevuto un importo inferiore o uguale a 2.101,52 euro. Questi contribuenti hanno ricevuto una rivalutazione piena del 7,3%, che si è tradotta in una pensione più ricca di 153 euro.
Da questa soglia a salire ai destinatari di trattamento previdenziali è stata riconosciuta una rivalutazione sempre più bassa in proporzione all’importo intascato, fino al minimo del 32% per coloro che hanno ottenuto più di 5.250 euro: chi ha dichiarato un reddito da pensione tra le quattro e le cinque volte il minimo lordo (quindi tra 2.101,52 e 2.626,90 euro) ha avuto da marzo in poi una rivalutazione dell’85%, mentre per gli assegni tra 5 e 6 volte la minima è stata del 53%, tra 6 e 8 volte la minima del 47%, fino al 32% per quelle superiori a 10 volte.
Il piano del Governo
Secondo i calcoli del ‘Corriere della Sera’ queste percentuali di adeguamento porterebbero a una spesa totale dello Stato di 13 miliardi di euro, cifra che si scontra con le disponibilità del Governo per finanziare le misure previste nella Legge di Bilancio.
Il piano è dunque quello di dare una stretta a questo meccanismo, oltre a ritoccare l’Ape sociale e rivedere anche Opzione donna, che secondo il sottosegretario all’Economia Claudio Durigon ha rappresentato un “esborso esoso” (qui avevamo parlato dell’ipotesi di Quota 84).
“Questo governo non ha gestito Opzione Donna come nella maniera precedente perché crediamo – ha spiegato Durigon – che in quel caso ci sia stato oggettivamente tanto dispendio anche salariale per queste donne” (qui avevamo riportato la possibilità di un’Ape donna a 61 anni).
Nel frattempo sembra tramontata la promessa in campagna elettorale, che ha visto come grande promotore Silvio Berlusconi, di aumentare le pensioni minime dai 600 euro attuali fino ai 1000 euro di fine legislatura. Al momento l’unica ipotesi al vaglio del ministero dell’Economia sarebbe un incremento della rivalutazione degli assegni minimi da 650 a 670, ancora comunque tutto da valutare.
Di fronte alla prospettiva di un taglio ulteriore delle rivalutazioni la Confederazione italiana dei dirigenti e delle alte professionalità (Cida) ha deciso di intraprendere azioni legali contro il Governo e, nel luglio scorso, anche la Uil ha avviato un percorso analogo per “mantenere alta l’attenzione su questa ennesima ingiustizia (che interessa circa 3 milioni e mezzo di pensionati), decisa oltretutto in un momento di forte crescita dell’inflazione”