L’ipotesi è sul tavolo del Governo già dallo scorso mese di febbraio, quando tra le stanze di Palazzo Chigi e di Viale XX Settembre hanno iniziato a circolare studi di fattibilità su una possibile riforma del sistema pensionistico. L’emergenza Coronavirus ha fatto poi passare in secondo piano questo dossier, ma secondo i soliti ben informati l’ipotesi di riforma non è affatto tramontata.
E, tra le varie novità che dovrebbero far parte del nuovo pacchetto-pensioni c’è anche la possibilità di innalzare la pensione minima a 780 euro al mese, con un aumento del 50% circa rispetto agli assegni attuali da 515 euro. Una misura che richiederebbe uno sforzo economico tutt’altro che secondario, per le casse dello Stato, ma i tecnici del Tesoro e degli altri ministeri interessati sembra siano alla ricerca delle risorse necessarie per garantire un trattamento pensionistico più dignitoso e in linea con il costo della vita.
Pensione minima 780 euro: quanto costerebbe allo Stato
L’ipotesi di portare le pensioni minime a 780 euro era stata avanzata, nel corso dell’ultima campagna elettorale, dal Movimento 5 stelle. Con Luigi Di Maio al dicastero dello Sviluppo Economico era stata istituita la cosiddetta Pensione di Cittadinanza, che molti vedevano come un primo passo verso l’innalzamento del trattamento pensionistico minimo. Insomma, la pensione minima a 780 euro sembrava ormai a un passo ma l’emergenza Coronavirus ha costretto l’Esecutivo a rivedere i propri piani.
Anche perché aumentare del 50% l’assegno pensionistico minimo avrebbe un impatto non indifferente sulle casse statali. Stando ad alcune statistiche, in Italia ci sarebbero più di quattro milioni di pensionati che riscuotono meno di 780 euro al mese: innalzare tutti i loro trattamenti ad almeno 780 euro costerebbe alle casse dello Stato almeno 10 miliardi di euro ogni anno. Una cifra importante, insomma, che difficilmente potrebbe essere interamente finanziata con il taglio alle pensioni d’oro, come ipotizzato dal M5s.
I rischi dell’operazione
Al momento è difficile fare previsioni su possibili riforme del sistema pensionistico. Il Governo è completamente assorbito dall’emergenza Coronavirus e tutte le risorse disponibili sono impegnate per garantire forme di sostegno al reddito di partite IVA, autonomi e tutte quelle persone che sono rimaste senza lavoro a causa della serrata generale. Probabile che nel bilancio di quest’anno (e anche quello del prossimo anno) non ci sia spazio finanziario sufficiente per inserire una nuova voce di bilancio così consistente.
Il progetto, poi, potrebbe rimanere in sospeso nel caso in cui l’Italia dovesse essere costretta ad aderire al MES (Meccanismo Europeo di Stabilità). Nonostante il Governo assicuri con fermezza di non voler ricorrere al fondo di salvataggio, c’è una reale possibilità che le pensioni più elevate subiscano tagli significativi e che quelle più basse non vengano rivalutate come dovrebbero. Questa è un’ipotesi che preoccupa anche l’ex premier Mario Monti, il quale esorta a fare tutto il possibile per evitare un destino simile a quello che ha colpito la Grecia un decennio fa.
Se l’Italia fosse costretta a ricorrere al MES, ciò potrebbe avere, come detto, conseguenze significative sul sistema pensionistico. Le pensioni d’oro, che già sono oggetto di dibattito e critiche, potrebbero subire tagli drastici, mettendo a rischio il sostentamento di coloro che dipendono da queste entrate per vivere dignitosamente. Allo stesso tempo, le pensioni più basse, che spesso non coprono nemmeno i bisogni di base, rischiano di rimanere congelate senza la necessaria rivalutazione, lasciando i pensionati in una situazione di crescente precarietà finanziaria. È comprensibile, quindi, che ci sia un forte impegno da parte del Governo e degli attori politici a evitare questa eventualità a tutti i costi.