Il cambiamento climatico non è più una minaccia astratta per la viticoltura: è una realtà che ogni vendemmia rende più evidente. Ondate di calore sempre più frequenti, temperature estive oltre i 40 gradi, stress idrico prolungato e maturazioni accelerate stanno modificando profondamente il profilo dei vini, mettendo a rischio rese, qualità e sostenibilità economica di interi territori. In questo scenario, una scoperta tutta italiana apre uno spiraglio di speranza: una roccia naturale, ridotta in polvere, capace di raffreddare l’uva direttamente sulla pianta e proteggere i vigneti dal surriscaldamento.
La roccia che raffredda l’uva: la scoperta
La scoperta porta la firma di Gabriele Valentini, 45 anni, ricercatore del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-Alimentari (Distal) dell’Università di Bologna, ed è stata riconosciuta a livello internazionale con il prestigioso Viticulture Paper of the Year Award 2025, conferito dall’Australian Society of Viticulture and Enology (ASOV) durante la cerimonia di Adelaide. Un premio che, nel mondo della ricerca vitivinicola, equivale a una consacrazione scientifica.
Al centro dello studio di Valentini c’è la zeolite a chabasite italiana, una roccia di origine vulcanica già nota in agricoltura per le sue proprietà assorbenti e riflettenti. Utilizzata sotto forma di polvere micronizzata e distribuita su foglie e grappoli, la zeolite agisce come una sorta di “scudo naturale” contro il calore eccessivo.
“Sono un folle che infila termometri dentro i grappoli di uva”, racconta con ironia lo stesso Valentini. Ed è proprio grazie a questo approccio empirico, quasi artigianale nella sua semplicità, che il ricercatore ha potuto dimostrare un dato sorprendente: gli acini trattati con zeolite registrano temperature significativamente più basse rispetto a quelli non trattati, anche durante le ondate di calore estremo.
Il meccanismo è duplice. Da un lato, la zeolite riflette parte della radiazione solare, riducendo il surriscaldamento superficiale dei grappoli. Dall’altro, grazie alla sua struttura microporosa, contribuisce a regolare lo scambio gassoso e la traspirazione, limitando lo stress fisiologico della pianta.
Una soluzione naturale, senza effetti collaterali
Uno degli aspetti più importanti della scoperta riguarda la sicurezza e la sostenibilità del trattamento. La zeolite è una sostanza naturale, autorizzata in agricoltura biologica, che si disperde progressivamente nel tempo senza lasciare residui nocivi né alterare le caratteristiche organolettiche dell’uva e del vino.
Lo studio premiato, è stato pubblicato sull’Australian Journal of Grape and Wine Research, una delle riviste scientifiche più autorevoli del settore a livello mondiale. I risultati confermano: nessun impatto negativo sulla qualità del vino, né in termini di composizione chimica né di profilo sensoriale. Anzi, in alcuni casi, il trattamento ha contribuito a preservare l’equilibrio tra zuccheri, acidità e polifenoli, un aspetto importantissimo, soprattutto per i vitigni sensibili che rischiano di perdere freschezza e identità aromatica con l’aumento delle temperature.
Dal laboratorio al vigneto: la sperimentazione sul campo
La forza della ricerca di Valentini sta anche nel suo legame diretto con la pratica agricola. Il ricercatore, infatti, ha testato la zeolite anche sui propri vigneti, trasformando il campo in un vero e proprio laboratorio a cielo aperto. Una scelta che ha permesso di verificare l’efficacia del trattamento in condizioni reali, non solo controllate.
Questo passaggio è stato fondamentale. Molte soluzioni contro il cambiamento climatico funzionano sulla carta, ma faticano a essere applicate su larga scala per costi elevati, complessità operative o resistenze culturali. La zeolite, al contrario, è economicamente accessibile, facile da distribuire e compatibile con le pratiche viticole esistenti.
Una risposta alla crisi climatica della viticoltura
Secondo i più recenti rapporti dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), le regioni vitivinicole del Mediterraneo sono tra le più esposte agli effetti del riscaldamento globale. In Italia, negli ultimi vent’anni, l’anticipo delle vendemmie e l’aumento del grado alcolico medio dei vini sono segnali evidenti di un sistema sotto stress.
In questo contesto, la scoperta della zeolite come “raffreddante naturale” rappresenta una risposta, immediatamente applicabile, che non richiede nuove infrastrutture né stravolgimenti agronomici. Non è una soluzione miracolosa, ma uno strumento efficace da integrare in una strategia più ampia di adattamento climatico, insieme alla gestione della chioma, alla scelta dei portinnesti e a un uso più efficiente dell’acqua.
Dall’Italia al mondo: una scoperta che parla globale
Il fatto che il riconoscimento sia arrivato dall’Australia non è casuale. Anche lì, come in California, Cile e Sudafrica, la viticoltura è sempre più esposta a temperature estreme e incendi. La ricerca italiana, ancora una volta, dimostra di poter offrire soluzioni innovative a problemi globali, coniugando tradizione, scienza e sostenibilità.
La zeolite non “salverà” da sola i vigneti del mondo, ma può fare la differenza nel preservare la qualità dell’uva e l’identità dei vini in un clima che cambia.