Fare la spesa costa di più, l’inflazione alimentare è al +3,5%

I dati Istat mostrano un paradosso: l'inflazione complessiva è stabile, ma i prezzi dei beni alimentari e per la casa registrano un aumento

Pubblicato:

Federica Petrucci

Editor esperta di economia e attualità

Laureata in Scienze Politiche presso l'Università di Palermo e Consulente del Lavoro abilitato.

L’ultimo dato fornito dall’Istat il 10 settembre 2025, nella Nota sull’andamento dell’economia italiana relativa al periodo luglio-agosto 2025, evidenzia che, nonostante l’inflazione complessiva si mantenga stabile al +1,7%, il carrello della spesa sta subendo un’accelerazione decisa, con un aumento dei prezzi del +3,5% su base annua per i beni alimentari e i prodotti per la cura della casa e della persona

In Italia le famiglie italiane devono quindi fare i conti con una realtà complessa che si percepisce soprattutto davanti alle casse del supermercato. Con rincari che pesano molto più della media sull’economia reale, perché riguardano beni essenziali, difficilmente comprimibili nei bilanci domestici.

Perché la spesa aumenta più dell’inflazione

Se l’inflazione generale resta ancorata a un +1,7%, in linea con gli obiettivi di stabilità della Banca Centrale Europea, l’inflazione percepita dai cittadini è ben diversa.

Pagare pane, latte, carne, verdura o prodotti per la casa con un rincaro medio del 3,5% significa dover tagliare altrove e, per esempio, rinunciare a cene fuori e aperitivi, rimandare un acquisto, ridurre le spese non essenziali.

Le cause di questi rincari sono molteplici. Prima di tutto, gioca un ruolo fondamentale l’aumento dei costi lungo la filiera: energia, trasporti e logistica restano più cari rispetto ai livelli pre-pandemia e pre-crisi energetica.

Anche i rallentamenti commerciali e le tensioni geopolitiche incidono sulla disponibilità e sul prezzo delle materie prime, così come il calo della produzione agricola in alcune aree del mondo e l’incertezza climatica continuano a riflettersi sui prezzi finali.

Tutto ciò che emerge dai dati Istat rende evidente un paradosso. L’inflazione complessiva sembra sotto controllo, ma quella alimentare continua a pesare molto più delle statistiche ufficiali sugli italiani.

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Le conseguenze sociali: un divario che si allarga

Gli aumenti dei prezzi alimentari non colpiscono tutti allo stesso modo. Le famiglie a reddito più basso, che destinano una quota maggiore del proprio budget al cibo e ai beni essenziali, subiscono un impatto sproporzionato rispetto ai nuclei più abbienti.

Secondo le stime, un’inflazione alimentare del 3,5% si traduce, per una famiglia media con due figli, in oltre 400 euro di spese aggiuntive annue.

Una cifra che può sembrare contenuta per chi ha redditi elevati, ma che diventa significativa per chi già fatica a coprire bollette, mutuo o affitto.

Le possibili soluzioni contro gli aumenti

La questione apre inevitabilmente un dibattito sulle politiche necessarie per mitigare l’impatto dell’inflazione alimentare.

Tra le soluzioni possibili, non ci sono solo i sostegni mirati alle famiglie vulnerabili, come bonus spesa e agevolazioni fiscali dedicate, ma sarebbe necessario intervenire con politiche di filiera per ridurre i costi intermedi e sostenere l’agricoltura nazionale.

Un passo in più in avanti si potrebbe fare con la promozione di accordi anti-inflazione tra grande distribuzione e produttori, come già sperimentato in passato in altri Paesi europei.

Guardando avanti, la vera sfida sarà conciliare stabilità dei prezzi, sostegno alla crescita e protezione del potere d’acquisto delle famiglie.

La lieve flessione del Pil e la frenata dell’export pongono l’Italia in una posizione di vulnerabilità. In un Paese dove la ripresa resta fragile e l’incertezza internazionale elevata, la questione del caro spesa diventa una delle vere priorità.

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