La Tirso di Trieste è stata salvata, evitati 160 licenziamenti

La grande fabbrica tessile Tirso di Trieste è stata salvata a pochi giorni dall'avvio dei licenziamenti dei quasi 160 dipendenti: il piano di rilancio presentato al Mimit

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Matteo Runchi

Editor esperto di economia e attualità

Redattore esperto di tecnologia e esteri, scrive di attualità, cronaca ed economia

La fabbrica tessile Tirso di Trieste è stata acquistata da una “realtà multinazionale radicata sul territorio”, come riportato dall’agenzia di stampa Ansa, a pochi giorni dal licenziamento di quasi 160 lavoratori dello stabilimento di Muggia, vicino al capoluogo friulano.

Le prime difficoltà di Tirso erano cominciate nel 2022, quando la crisi energetica aveva messo in difficoltà i conti dell’azienda. Alla fine del mese di settembre era previsto l’inizio dei licenziamenti collettivi e di fatto il fallimento della società. Il salvataggio permetterà di continuare la produzione in loco. Il piano per il rilancio verrà presentato la prossima settimana al Ministero per le Imprese e il Made in Italy.

La Tirso è stata salvata

Non è ancora stato rivelato quale sia la società che ha deciso di acquistare lo stabilimento della Tirso di Muggia, vicino a Trieste. È però sicuro che i posti di lavoro di 160 dipendenti della società triestina sono stati messi in salvo. A luglio la società aveva avviato le procedure di licenziamento collettivo che, dopo le trattative con i sindacati, sarebbero state ufficialmente avviate a partire da 1° ottobre.

A meno di un mese da quella data è arrivata la notizia del salvataggio. L’agenzia di stampa Ansa riporta anche che il prossimo mercoledì, presso la sede del Ministero delle Imprese e del Made in Italy a Roma, ci sarà un incontro tra i rappresentanti dei lavoratori, le istituzioni e la nuova proprietà per la presentazione del piano industriale di rilancio dello stabilimento.

Cosa fa la Tirso

La Tirso è un’azienda tessile con sede in Italia e magazzini in tutto il mondo. Non si occupa però di abiti o tessuti tradizionali, ma esclusivamente di uniformi da lavoro e techwear. La sua produzione varia molto, dalle uniformi degli equipaggi delle navi da crociera fino a tute e coperture protettive per operai che lavorano in condizioni estreme e necessitano di protezioni particolari.

Tirso, attraverso il Progetto Parka, produceva anche indumenti specifici per i viaggi in condizioni di freddo estremo, in particolare ai due poli, Artide e Antartide. Buona parte dei suoi prodotti era su ordinazione, e poteva essere personalizzato fino all’ultimo dettaglio per le esigenze del cliente.

Come la Tirso è arrivata sull’orlo del fallimento

La crisi di Tirso risale al 2022. In quell’anno la crisi energetica seguita all’invasione russa dell’Ucraina aveva portato l’azienda a chiedere al fornitore di elettricità Edison di rateizzare il proprio debito, una richiesta che era stata respinta. I costi energetici erano quadruplicati, arrivando a 1,6 milioni di euro al mese, in meno di un anno.

La situazione si è aggravata però solo nel 2024, quando la società finanziaria Friulia, che nel 2020 aveva investito in Tirso 4 milioni di euro, aveva cercato di vendere le proprie quote nell’azienda tessile. Ad agosto comincia la cassa integrazione straordinaria per gli allora 175 lavoratori. Già alla fine dell’anno, però, la società ha difficoltà a pagare la propria parte della Cig.

All’inizio del 2025 la situazione sembra risolversi con l’intervento del Gruppo Roncadin. La trattativa però fallisce già in primavera e l’azienda sembra avviata verso la chiusura. Soltanto all’inizio di settembre, l’azienda è stata salvata.

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