La discriminazione retributiva, si pensi a quella tra uomini e donne, resta una delle disuguaglianze più diffuse nel mercato del lavoro europeo. Proprio per questo l’Unione Europea ha approvato la direttiva 2023/970, espressamente rivolta alla trasparenza dei salari e al rafforzamento delle tutele contro le ingiustizie di tipo economico.
È un testo normativo che non si limita a ribadire il principio della parità di retribuzione, ma introduce procedimenti e sanzioni destinati a incidere profondamente sui rapporti lavorativi. Il dipendente potrà sfruttarle a suo favore, per proteggersi e veder finalmente riconosciuti tutti i suoi diritti.
Nel 2026, anno l’Italia deve recepire la direttiva in oggetto. Vediamo insieme qual è il pacchetto di tutele pensato per chi si ritiene leso in fatto di stipendio.
Indice
Retribuzione inadeguata, chi difende il lavoratore?
Come appena accennato, la direttiva (UE) 2023/970 dà tutela ai dipendenti che, ragionevolmente, ritengono che l’azienda non abbia riconosciuto loro tutta la retribuzione, spettante per legge e Ccnl.
La protezione vale anche per il periodo successivo alla cessazione del rapporto di lavoro. E proprio questo aspetto è molto importante ai fini di una tutela piena: non è necessario essere ancora sotto contratto per far valere il diritto a uno stipendio giusto.
Interessante notare che il dipendente non è lasciato solo a difendersi. Infatti, la direttiva sulla trasparenza retributiva prevede un ruolo chiave per le associazioni, organizzazioni, organismi per la parità e i rappresentanti dei lavoratori e delle lavoratrici.
Infatti, questi soggetti potranno:
- sostenere concretamente il dipendente al fine di garantire la parità retributiva;
- dare avvio a un procedimento amministrativo o giudiziario, relativo a una sospetta violazione di diritti o obblighi di ambito stipendiale;
- agire per conto dei lavoratori, previo consenso di questi ultimi.
Previsti dall’art. 14 della direttiva, gli appena citati procedimenti saranno mirati ad accertare la violazione e ottenere il pieno ristoro del danno subito.
Disparità retributiva: l’azienda deve difendersi
Una delle maggiori novità riguarda lo svolgimento effettivo del contenzioso. In base all’articolo 18 della direttiva Ue, non è il lavoratore a dover provare di essere stato discriminato. Invece, sarà compito e onere dell’impresa dimostrare l’inesistenza della violazione retributiva.
A prima vista questo aspetto della direttiva Ue potrebbe apparire una forzatura, ma così non è. Infatti al lavoratore spetta comunque di fornire elementi concreti e idonei a presumere l’esistenza di una disparità retributiva. Ma, a quel punto, l’onere della prova si sposta tutto sull’azienda datrice.
L’eccezione a questa regola scatta soltanto quando il datore riesce a dimostrare che la violazione è stata manifestamente involontaria o di lieve entità. Ma, chiaramente, spetta di volta in volta al giudice valutare i fatti concreti per stabilire l’eventuale assenza di responsabilità.
Lo spostamento dell’onere della prova sul datore rafforza non poco la posizione del lavoratore. Al contempo, potrebbe però portare anche a un forte aumento delle cause di lavoro. Soprattutto, considerando che l’eventuale sconfitta in tribunale non comporta automaticamente che le spese giudiziarie siano a carico del dipendente.
Accesso alle prove e divulgazione di informazioni riservate
La norma europea interviene anche su un altro nodo cruciale: l’accesso alle prove. Infatti, l’art. 20 del testo dà a giudici e autorità competenti il potere di ordinare al datore la divulgazione di qualsiasi elemento di prova utile, anche se in suo esclusivo possesso.
Non ci sono limiti di sorta, perché persino le informazioni riservate possono essere acquisite, a patto che al contempo siano prese misure idonee a tutelarne la delicatezza. La novità in oggetto è certamente degna di nota, perché riequilibra una storica asimmetria informativa a favore delle imprese.
Quando decorre la prescrizione per disparità salariale
Anche i termini di prescrizione sono considerati dalla direttiva. Infatti, nella fase di recepimento con atto interno, gli Stati membri debbono stabilire:
- la loro durata (in ogni caso non minore di 3 anni);
- il momento in cui iniziano a decorrere;
- le ipotesi di sospensione o interruzione.
C’è un punto fondamentale a ulteriore garanzia del lavoratore. La prescrizione non può iniziare prima che il lavoratore sia a conoscenza (o possa ragionevolmente esserlo) della violazione retributiva. Inoltre, gli Stati Ue possono prevedere che il termine non decorra finché la violazione è in corso o prima della cessazione del rapporto.
Non solo. In base all’art. 21 della direttiva, il termine si interrompe o sospende quando il lavoratore presenta un reclamo al datore o avvia un procedimento in tribunale, anche tramite sindacati, ispettorato del lavoro o organismi per la parità. Questi ultimi soggetti sono soggetti legittimati ad agire a tutela dei diritti economici del personale.
Risarcimento pieno e senza tetti massimi per la discriminazione
Se la discriminazione viene accertata in corso di causa, al lavoratore subordinato spetta una riparazione o risarcimento pieno ed effettivo, senza massimali prefissati. Infatti, lo scopo non è soltanto compensare il danno subìto, ma ricostruire integralmente la situazione economica che il dipendente avrebbe avuto, senza la discriminazione di salario e di genere.
A scanso di equivoci, la tutela comprende quindi il recupero totale delle retribuzioni arretrate e dei collegati bonus o pagamenti in natura (fringe benefit), il risarcimento per opportunità perse e il danno immateriale a beni come la dignità e l’onore.
Sarà, di volta in volta, l’autorità competente a stabilire la precisa entità del ristoro nei confronti del lavoratore o della lavoratrice.
Quali sono le multe previste per i datori di lavoro
Non solo. Sarà compito del magistrato ordinare al datore di lavoro di cessare la violazione retributiva e adottare sanzioni in denaro, per garantire la parità di stipendi.
Quanto agli importi, l’Ue non fissa nulla ma lascia agli Stati membri il ruolo di definirli. Un allegato alla direttiva suggerisce però possibili punizioni come ad esempio ammende calcolate sul fatturato o sulla massa salariale, la revoca di benefici pubblici o l’esclusione da gare pubbliche.
Tutela retributiva di uomini e donne e disparità: cosa cambia
La direttiva (UE) 970/2023 segna un cambio di paradigma e un nuovo equilibrio tra tutela e responsabilità. Non si limita, infatti, a proclamare diritti, ma costruisce un sistema che rende la parità retributiva azionabile, verificabile e sanzionabile.
La discriminazione retributiva tra uomini e donne, causa ed effetto del gender pay gap, può manifestarsi sia in forma diretta che indiretta:
- quando una lavoratrice percepisce uno stipendio inferiore rispetto a un collega uomo che svolge le stesse mansioni;
- nel caso di sistemi di premi o avanzamenti di carriera apparentemente neutrali ma che, nei fatti, penalizzano maggiormente le donne.
Sono situazioni che rientrano pienamente nel perimetro di protezione delineato dalla direttiva. Ma ovviamente molto dipenderà dal recepimento nazionale e dall’impatto che le regole europee avranno sulla normativa italiana.
È nelle disposizioni di dettaglio che si gioca l’equilibrio tra tutela dei dipendenti, sostenibilità per le imprese e rischio di contenzioso a raffica. Una cosa è certa: per il lavoratore o la lavoratrice discriminati, difendersi sarà molto più semplice e concreto di quanto lo sia mai stato finora.