Tra dieci anni in Italia non ci saranno quasi più artigiani. Si salveranno solo tre settori

Secondo i dati Inps e Infocamere/Movimprese elaborati dalla Cgia di Mestre, tra dieci anni l'Italia rischia di non avere più idraulici, fabbri, elettricisti e altri artigiani

Pubblicato: 17 Agosto 2024 17:19

Miriam Carraretto

Giornalista politico-economica

Esperienza ventennale come caporedattrice e giornalista, sia carta che web. Specializzata in politica, economia, società, green e scenari internazionali.

Se in futuro avremo un problema in casa con un rubinetto che perde o una finestra che non chiude bene, potremmo non avere più qualcuno che ce li aggiusta. Nei prossimi anni sono infatti a rischio manutenzioni e riparazioni, perché in Italia stiamo assistendo a un continuo calo del numero degli artigiani. Con, anche, un’inevitabile trasformazione del tessuto urbano che ci accoglie. A lanciare il nuovo allarme è l’Ufficio studi della Cgia di Mestre, che ha elaborato i dati di Inps e Infocamere/Movimprese.

Vediamo cosa dicono i numeri e quali settori artigianali, invece, resisteranno.

Gli artigiani rischiano di scomparire: i dati

Addio artigiani: idraulici, fabbri, elettricisti, serramentisti… Questo lo scenario cui ci potremmo trovare di fronte tra non più di dieci anni se non sarà invertita la rotta. Secondo i nuovi dati appena elaborati dalla Cgia di Mestre sulla base dei numeri Inps e Infocamere/Movimprese, continua a scendere il numero degli artigiani presenti nel nostro Paese. Che siano titolari della propria ditta o addetti presso altri, poco cambia.

Oggi, gli artigiani in Italia sono appena 1 milione 457mila, con una certa differenza tra le varie province; nel 2012 erano circa 1 milione 867mila: solo nel 2023 il numero è crollato di quasi 410mila unità. Una perdita rapidissima di figure che svolgono lavori vari di riparazione, discesa che ha vissuto una battuta d’arresto solo nell’anno post Covid, facendo segnare un +2.325 tra il 2021 e il 2020.

In calo non sono solo i singoli artigiani, ma anche le imprese artigiane. Secondo i dati Infocamere/Movimprese, anche il numero delle aziende attive è in forte diminuzione. Oggi sono appena 1 milione 258.079 (dato 2023), mentre nel 2008 – anno in cui si è toccato il picco massimo degli anni 2000 – erano 1 milione 486.559, per poi iniziare un continuo calo che non sembra arrestarsi.

Perché ci sono sempre meno artigiani in Italia

C’è da dire, tuttavia – evidenzia la Cgia – che questo taglio in parte è dovuto al processo di aggregazione/acquisizione che ha interessato alcuni settori dopo le grandi crisi 2008/2009, 2012/2013 e 2020/2021, che però, dall’altro lato, ha visto crescere la dimensione media delle imprese, facendo fare così un balzo in avanti alla produttività di molti comparti: in particolare, quello del trasporto merci, il metalmeccanico, l’installazione di impianti e la moda.

Insomma, per farla breve, abbiamo più avvocati che idraulici. Oggi in Italia ci sono circa 237mila avvocati, mentre gli idraulici sono appena 180mila. “Colpa” – se così si può dire – del crescente investimento nella cultura e nell’innovazione tecnologica tipici dei Paesi avanzati, ma anche della fuga di cervelli che hanno spinto fuori dai confini nazionali migliaia di giovani italiani, anche schiacciati da tassazioni molto pesanti e da scarsissimi sostegni al reddito, soprattutto se partite Iva.

La Cgia imputa le causa del progressivo disinteresse dei giovani ai lavori artigiani proprio allo scarso appeal del lavoro manuale, alla mancata programmazione formativa che certamente si è avuta un po’ ovunque lungo lo Stivale, una responsabilità politica, evidentemente, che vuole mantenere la scuola a com’era 50 anni fa, senza innovarla mai davvero.

Discorso simile per i camionisti, di cui sempre ha parlato la Cgia alcuni giorni fa: in Italia ne mancano almeno 22mila, così come mancano gli operai. Un problema, purtroppo, che non riguarda solo il nostro Paese: in tutta Europa trovare autisti da mettere alla guida di un tir è diventato proibitivo. Ci sono la stanchezza fisica per le tante ore al volante, i ritmi di lavoro piuttosto estenuanti ma anche una forte barriera all’ingresso, visto che per poter guidare un tir è necessario, per legge, conseguire la patente di guida professionale, la cosiddetta Cqc.

Le conseguenze: sempre meno imprese familiari e trasformazione urbana

Cosa significa avere sempre meno artigiani? Questo potrebbe portare a rendere complicata una banale riparazione, e a far lievitare i costi nel caso in cui a intervenire siano addetti di grandi imprese multinazionali, che applicano tariffe standard.

C’è poi l’aspetto puramente lavorativo, con sempre meno giovani interessati a questi lavori. E c’è anche un effetto urbano. Le serrande abbassate che un po’ ovunque osserviamo nei nostri quartieri – con non poca tristezza per un’Italia che rischia di trasformare il piccolo commercio in una vetrina luccicante per soli turisti – cambia faccia alle città. Rigattieri, fabbri, falegnami, sarti, riparatori di elettrodomestici e oggetti vari, aggiustatutto, calzolai, corniciai, orologiai… un elenco imponente di figure, spesso parte di attività commerciali familiari che andavano avanti da generazioni, che rischiano di scomparire sguarnendo le strade.

Con, anche, un impatto evidente sulla sicurezza delle nostre città, sottolinea ancora la Cgia. Senza dubbio i piccoli negozi di quartiere rappresentano un punto di riferimento per le persone che ci vivono, soprattutto gli anziani, ma anche un presidio vero e proprio per il territorio: questo non solo negli angoli più difficili dove spaccio e degrado comandati dalle mafie depauperano la qualità della vita dei residenti, ma anche ormai nei centri storici, sempre più cannibalizzati da alti costi della vita.

Uno scenario preoccupante, che ci sta lentamente facendo dimenticare quell’Italia di quartiere che ha sempre fatto tante piccole Italie dentro a una sola. Però – notizia positiva – non tutti i settori artigiani hanno subito la crisi, né sembrano essere destinati a questa fine nei prossimi anni.

Quali settori artigiani non sono in crisi e anzi crescono

Ce ne sono tre che si salvano, secondo le proiezioni della Cgia, che però, non a caso, sono piena espressione di quella trasformazione culturale di cui parlavamo: sono quelli del benessere, dell’informatica e dell’alimentare, che presentano dati in controtendenza.

Nel primo, ad esempio, si continua a registrare un costante aumento di parrucchieri, estetisti e ora anche tatuatori. Nel secondo, invece – che non si inserisce infatti nei lavori “artigianali” originariamente intesi – sono in decisa espansione i sistemisti, gli addetti al web marketing, i videomaker e gli esperti di social media, dai social media manager agli influencer. Buone performance anche per l’alimentare, con risultati molto positivi per gelatai, gastronomi, gestori di lavanderie a gettone e di pizzerie da asporto, soprattutto nelle città ad alta vocazione turistica.

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