In Italia un lavoratore su sette a rischio povertà, quando lo stipendio non basta

Aumento dei "working poor" in Italia, ovvero gli occupati a rischio povertà schiacciati da salari bassi, inflazione e precarietà. I dati Istat

Pubblicato:

Federica Petrucci

Editor esperta di economia e attualità

Laureata in Scienze Politiche presso l'Università di Palermo e Consulente del Lavoro abilitato.

In Italia aumenta il numero di lavoratori a rischio povertà. Secondo i dati Istat pubblicati il 14 ottobre 2025, su un totale di circa 23 milioni di occupati (tra dipendenti e autonomi) il 10,2% sono “working poor”, schiacciati da salari stagnanti, inflazione e precarietà.

Quanti sono i lavoratori a rischio povertà in Italia

Sulla base dei dati forniti da Istat ed Eurostat relativi al 2024, il fenomeno dei lavoratori a rischio povertà in Italia coinvolge tra i 2,3 e i 2,4 milioni di persone. Sono persone che, pur avendo un lavoro, dispongono di un reddito disponibile (ovvero al netto di tasse e trasferimenti) inferiore al 60% del reddito mediano nazionale.

La vulnerabilità economica varia in base alla tipologia contrattuale. Tra gli occupati a tempo pieno (full-time), il 9% è a rischio povertà. La percentuale aumenta per i lavoratori part-time, che raggiungono il 15,7% (dato in calo rispetto al 16,9% registrato nel 2023). La situazione non migliora se si considerano solo i lavoratori indipendenti, dove il 17,2% si trova al di sotto della soglia del 60% del reddito mediano nazionale.

Nel 2024, l’incidenza di povertà assoluta tra le famiglie con persona di riferimento occupata è dell’8,7%, ma sale al 15,6% tra gli operai e al 7,4% tra gli autonomi non imprenditori né professionisti. Il dato che merita attenzione è quindi quello della trasversalità del fenomeno. La povertà cioè non colpisce più solo chi è disoccupato o vive ai margini, ma entra nelle case di chi lavora, di chi ha un contratto regolare, di chi paga le tasse e contribuisce al sistema.

Il divario territoriale: il Mezzogiorno ancora in trincea

Se guardiamo alla geografia della povertà, il Mezzogiorno resta l’area più colpita, con oltre 886mila famiglie in povertà assoluta (10,5% del totale), ma anche al Nord, dove il costo della vita è più alto, la povertà tocca ormai quasi una famiglia su dieci: l’8,1% nel Nord-ovest e il 7,6% nel Nord-est.

In termini assoluti, quasi la metà dei poveri italiani vive nel Nord (44,5%), soprattutto nei grandi centri urbani, dove gli affitti e i costi dei servizi sono più alti. Nei comuni con oltre 50mila abitanti o nelle aree metropolitane, l’incidenza di povertà assoluta supera l’8%, ma nel Mezzogiorno tocca il 12,5%. In pratica, le città non sono più motore di mobilità sociale, ma luoghi dove le disuguaglianze si accentuano.

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Lavoro, istruzione e categorie più esposte al rischio

L’istruzione rimane uno dei fattori più potenti di protezione. Tra le famiglie in cui la persona di riferimento ha almeno un diploma, l’incidenza di povertà è solo del 4,2%, ma sale al 12,8% se si ferma alla licenza media, e addirittura al 14,4% se ha solo la scuola elementare.

La povertà colpisce in modo particolarmente duro le famiglie numerose: tra quelle con cinque o più componenti l’incidenza è del 21,2%, mentre tra le coppie con tre o più figli quasi una su cinque è in povertà assoluta. A rischiare di più sono anche le famiglie monogenitore, spesso donne sole con figli, dove la percentuale di povertà raggiunge l’11,8%.

La situazione è particolarmente grave tra i minori, con un’incidenza di povertà assoluta del 13,8%, il valore più alto dal 2014. Quello che emerge dal report è che 1,3 milioni di bambini e ragazzi vivono in famiglie che non possono permettersi il necessario.

Anche la variabile anagrafica mostra differenze significative. Le famiglie con persona di riferimento over 65 registrano un’incidenza di povertà del 6,7%, più bassa rispetto a quelle con adulti più giovani. Tuttavia, tra gli anziani soli o con pensioni minime, il rischio di esclusione sociale resta concreto.

Per i giovani tra i 18 e i 34 anni, invece, la povertà assoluta tocca l’11,7%, soprattutto perché si tratta di una generazione che entra nel mercato del lavoro con salari bassi e prospettive incerte.

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